Magnificat, i 25 anni del teatro delle diversità La regista: «Combatto l’autoesclusione»

Una presa di coscienza, un riconoscimento di ciò che ognuno di noi è, della propria straordinarietà, rappresentando un vero e proprio riscatto non solo per chi è diverso ma per la Sicilia stessa, che ha dato i natali a questo percorso artistico. Così lo spettacolo Magnificat ripercorre e celebra i 25 anni del Teatro delle diversità. Lo spiega la regista dell’associazione Nèon, Monica Felloni, in questa intervista a CTzen.

Può raccontarci un momento, un ricordo particolarmente speciale di questi anni di attività?
«È stato come aver viaggiato, aver visto e scoperto tante terre. Di ognuna puoi avere un ricordo, un odore, un’immagine, qualcosa che ti porti dentro. Queste sono le persone che ho incontrato, a volte mi sono soffermata nei loro corpi, nelle loro parole, sempre con tanta curiosità e voglia di ascoltare, di meravigliarsi della vita e delle sue tante forme».

I protagonisti dei vostri spettacoli sono per lo più persone diversamente abili, quali sono le emozioni che scaturiscono dal lavorare con loro?
«Le emozioni sono le stesse, non ci sono differenze. In Magnificat vanno in scena 14 persone con disabilità e sono la maggioranza, ma ce ne sono anche altre che non ne hanno. Sicuramente questa cosa fa notizia, è un evento unico, mai accaduto in un teatro importante come quello di Taormina, ma per me non rappresenta una novità. Perché ho sempre lavorato con attori disabili o con gruppi misti, sempre facendo attenzione a mantenere un equilibrio emotivo tra un attore e l’altro, senza fare differenze, come se il palcoscenico fosse una bilancia, che non deve pendere troppo né da un lato né dall’altro. È tanto importante Alfina Fresta che canta, che ha una disabilità molto evidente, quanto l’attore che sta dietro di lei a sorreggerla».

L’opera Magnificat si compone di diversi elementi: musica, parole, danza, comprese le influenze letterarie. Quali sono le sue principali fonti di ispirazione in ambito artistico?
«Sicuramente lavorare con Piero (Ristagno, ndr) è stato di fondamentale importanza. Lui è un poeta con una formazione classica molto forte, da sempre la poesia è il nostro modo di comunicare, sin da quando ci siamo conosciuti. Rappresenta il nucleo di partenza del nostro teatro, che ritorna sempre nei nostri spettacoli. Ogni attore poi porta qualcosa di sé, fa conoscere all’altro qualcosa di nuovo, in un fermento artistico che a me piace molto. Mi piace ascoltare gli altri e scoprire dove mi portano. In Magnificat ci sono testi di Whitman, Saramago, De Luca, ma anche di Stefania Licciardello, Danilo Ferrari e ovviamente Piero Ristagno. Sono testi che rappresentano i punti cardine del nostro teatro, sono sempre presenti nelle nostre opere».

La Sicilia è spesso etichettata come mentalmente chiusa di fronte a molte tematiche sociali, eppure è proprio qui che nasce l’associazione Nèon, con il suo Teatro delle diversità: potremmo parlare anche di un piccolo riscatto culturale per questa terra?
«Assolutamente azzeccato, è proprio così. Io sono arrivata in Sicilia da Bologna 26 anni fa con Piero per fare uno spettacolo e ho deciso di rimanere. Piero invece dopo 15 giorni voleva andar via, sentiva di non poter fare qui quello che avrebbe voluto. Io ho insistito, convinta che avremmo potuto. Da lì è iniziato tutto, con il mio desiderio di mettere radici, e di cui vado fiera, perché ho riconosciuto la bellezza che c’è in questa terra».

Come risponderebbe a chi dice “Se resto qui, non posso farcela”?
«È una tentazione che può stare nella testa di tanti quella di rinunciare e di lamentarsi per ciò che non va come dovrebbe, ma non voglio che si faccia, perché combatto ogni giorno con l’autoesclusione e la rinuncia. Mi piace pensare di essere cavalli che corrono e combattono portandosi dietro vincitori e vinti».

 

[Foto di Vincenzo Rao per associazione culturale Nèon]

Chiara Chines

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