«Avrei dovuto sorridere, così come avrebbe fatto lui». Quello di Massimo Palazzotto, fotografo palermitano che oggi vive e lavora a Mantova, è un invito al silenzio, ma anche alla dolcezza, in un certo senso. Le stesse armi di cui, forse, si sarebbe avvalso suo cugino Giovanni Romano, il magistrato 39enne morto ieri in un incidente sulla A19. Quella dolcezza che oggi, a mente fredda, Massimo vorrebbe usare in risposta a chi ieri ha usato frasi offensive per commentare la notizia di questa morte. Ma il dolore, si sa, può rendere meno lucidi e giocare brutti scherzi. E a chi scriveva a cuor leggero «meno uno», lui rispondeva «complimenti per la sensibilità», non tradendo tuttavia la pacatezza che lo contraddistingue. Una replica seguita a cascata da oltre duecento messaggi in risposta a questo preciso utente, che però non è stato il solo ad aver optato per commenti di questa natura.
Tra chi si è indignato e chi è caduto nella provocazione mandando epiteti e maledizioni, c’è stato anche chi ha sollecitato il cugino a denunciare. «Non farò nulla – spiega però lui a MeridioNews -. Ho pure sbagliato a rispondere». A un utente che, in barba al più naturale e semplice senso del pudore, anziché scegliere di tacere, ha continuato ad alimentare la polemica, dando corda soprattutto a chi rispondeva con indignazione. «Sono libero di esprimermi», «parlo quando voglio», «posso avere una mia idea sui magistrati»: sono solo alcune delle repliche che ha continuato a scrivere l’utente. Anche se non ha dimostrato la stessa loquacità e disponibilità a chi ha tentato un approccio diretto e in privato, rifuggendo un qualunque confronto. Questa volta, però, l’indignazione della rete sembra aver travalicato i labili confini della realtà virtuale e delle piattaforme social, andando ben oltre. Fino alle scrivanie degli agenti della polizia postale, per esempio, la cui piattaforma online ha raccolto e continua a raccogliere oggi numerose segnalazioni anonime. Tra queste c’è anche quella di Claudio Terzo, frontman del noto gruppo musicale palermitano Tre Terzi, rimasto particolarmente colpito dai toni in cui è degenerata la discussione su una notizia di questo genere.
«Ci si deve prendere la responsabilità di quello che si dice, anche sui social. Non è sufficiente segnalare il profilo Facebook. Fare di più è semplice, basta collegarsi sul sito della polizia postale, può farlo chiunque – spiega Claudio -. In molti mi hanno contattato in privato per sapere come fare. Ma si può anche segnalare l’episodio all’Associazione Nazionale Magistrati, tenuta a condannare seriamente esternazioni di questo genere». Solo dopo essersi mobilitato con un appello personale, sempre a mezzo social, per sollecitare quanti più utenti a prendere il suo esempio, Claudio Terzo ha ricordato di aver conosciuto la vittima del tragico incidente. «Siamo stati compagni di scuola al liceo – racconta -. Lì per lì quel nome non mi aveva detto nulla, mi sono mobilitato senza ricordarmi di chi fosse per me Giovanni Romano, fino a quando non ho capito chiaramente chi era confrontandomi con un’altra compagna che era stata a scuola con noi. È stata una botta doppia». Da un lato la notizia in sé della tragedia e i commenti spiacevoli a corredo, dall’altro il fatto di aver incrociato la propria strada personale con quella della vittima.
«La ricordo come una persona splendida, quando ho letto quel commento in particolare, prima ancora di sapere che si trattasse lui, mi sono venute troppo cose in mente del periodo nero che stiamo vivendo. Questi commenti sono figli del periodo che stiamo vivendo, privo di cultura, di senso civico, di educazione. Non vengono dal nulla». E non restano nemmeno rinchiusi nel contenitore virtuale dentro al quale vengono vomitati. «Non auguro il male a nessuno, io vorrei solo che utenti che si comportano così andassero incontro a conseguenze reali, addirittura a un processo se necessario. Insomma, ci si deve prendere delle responsabilità, in modo che capiscano cosa hanno scritto e come lo hanno espresso. Se si lasciano passare tutte il rischio è che episodi come questo diventino la normalità».
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