Erano stati arrestati lo scorso 18 febbraio con l’accusa di far parte di una frangia del clan Cappello, «un gruppo criminale dalle attività con radici lontane ma sviluppi molto moderni». Il tribunale del Riesame di Catania ha disposto la scarcerazione di tre indagati nell’ambito dell’operazione Prato verde compiuta dalla Direzione investigativa antimafia etnea. Si tratta di Giuseppe Buda, Franco Marino e Giovanni Privitera. Quest’ultimo è il fratello del boss Orazio Privitera, ritenuto dagli inquirenti al vertice del gruppo dei Carateddi e detenuto in regime di 41bis.
I giudici hanno ritenuto «inadeguata la piattaforma indiziaria», «generiche e prive di riscontro le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giacomo Cosenza» e «attestanti interessi familiari e meri rapporti di amicizia tra i soggetti coinvolti le conversazioni intercettate». Eppure la tesi dell’accusa e l’ordinanza del Gip avevano retto al primo ricorso presentato dai difensori, ma il 7 ottobre la prima sezione penale della Cassazione ha annullato con rinvio la decisione dei giudici. Il provvedimento è stato valutato da un altro tribunale del Riesame, che la scorsa settimana ha accolto le richieste di scarcerazione.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, a reggere il gruppo criminale sarebbe stata la moglie di Orazio Privitera, Agata Balsamo, imprenditrice agricola. A finire nelle maglie della Dia erano state 25 persone, quasi tutte libere, e altri 27 indagati sospettati di aver contribuito a una serie di truffe all’Agea (Agenzia per le erogazioni agricole).
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