Sette arresti, quattro omicidi risolti, tutti interni a Cosa Nostra etnea, e una pagina, quella dei latitanti di vertice della mafia a Catania, finalmente e momentaneamente vuota. «Non ci sono più importanti latitanti in giro – spiega il procuratore capo Giovanni Salvi – rimane una fetta di livello medio basso, ma quelli della fascia più alta sono tutti in carcere». Ieri i carabinieri del Comando provinciale di Catania, insieme ai colleghi di Milano e Lecce, hanno eseguito sette provvedimenti di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettanti esponenti del clan Santapola-Ercolano. Si tratta di Maurizio Zuccaro (52 anni), Orazio Magrì (42 anni), Fabrizio Nitta (38 anni), Carmelo Puglisi (49 anni), Lorenzo Saitta (38 anni), Mario Strano (48 anni) e Francesco Crisafulli (50 anni). Sono accusati di essere, a vario titolo, i mandanti o gli esecutori materiali di quattro delitti commessi a Catania tra il 1995 e il 2009.
Tutti erano già in carcere, ad esclusione di Zuccaro, che, seppur già condannato per l’omicidio di Salvatore Vittorio, vittima di lupara bianca nel 1996, si trovava agli arresti domiciliari per motivi di salute. Dopo questo provvedimento, pure lui è finito dietro le sbarre. «Non riteniamo reali gli impedimenti di salute presentati da Zuccaro, ma sarà il Tribunale di sorveglianza a decidere», precisa Salvi. Mentre l’ultimo arresto eccellente è stato quello di Magrì, scoperto in Romania all’inizio di marzo.
Dando seguito all’impostazione fino ad ora seguita – e cioè non mega blitz seguiti da maxi processi, ma operazioni mirate ogni volta che si raggiungono gli elementi necessari – la Dda etnea ha risolto gli omicidi di Vito Bonanno, avvenuto il 19 ottobre del 1995, Pietro Giuffrida, il 22 agosto del 1999, Franco Palermo, il 27 settembre del 2009 e Salvatore Pappalardo, il 30 ottobre del 1999. Quattro delitti non collegati tra loro, ma tutti causati da regolamenti di conti interni a Cosa Nostra. La soluzione ai casi è stata possibile, ancora una volta, grazie alle dichiarazioni del pentito Santo La Causa, reggente dell’associazione mafiosa a Catania dal 2006 e dal 2009. Una collaborazione che ha portato recentemente a diversi arresti e che, anche oggi, il procuratore capo ha sottolineato essere «precisa e affidabile». «Anche in sede dibattimentale – ha precisato Salvi – La Causa fino a questo momento ha retto in maniera molto attenta. Ci saranno altri sviluppi sulle sue dichiarazioni, stiamo lavorando bene su cose significative».
Veniamo agli omicidi. Il più lontano nel tempo è quello di Bonanno, appartenente al clan dei Malpassoti e ucciso nel 1995. La Causa si è autoaccusato di essere uno degli esecutori materiali del delitto, e oggi rivela che il mandante fu Maurizio Zuccaro, che volle punire Bonanno perché faceva parte del gruppo di Giuseppe Pulvirenti, pentitosi e quindi considerato un traditore. Al 1999 risale invece l’omicidio di Pietro Giuffrida, appartenente al gruppo di Zuccaro che aveva competenza sulla zona di San Cosimo, ucciso da Saitta e Nizza per contrasti interni alla famiglia a causa della spartizione dei proventi dell’usura e dello spaccio di droga. Sempre nel 1999 viene ammazzato Salvatore Pappalardo, storico componente di Cosa Nostra etnea. Il mandante è stato individuato in Strano, del gruppo di Monte Po, mentre Crisafulli era uno degli esecutori materiali. All’origine del delitto la lotta all’interno del clan Santapaola per il controllo delle estorsioni nella zona di Misterbianco. Le dichiarazioni di La Causa hanno trovato importanti riscontri nelle indagini condotte all’epoca dei delitti.
«Adesso che i capi di Cosa Nostra sono stati tutti assicurati alla giustizia – ha concluso Salvi – bisogna riuscire, con il 41 bis e i mezzi a nostra disposizione, ad interrompere la loro comunicazione e il loro controllo sull’esterno. Il rischio di una riorganizzazione c’è sempre, ma è un pericolo che deriva da un indiscutibile nostro successo».
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