Sono serviti molti minuti al giudice Anna Maggiore per leggere il dispositivo che ha inflitto complessivamente 369 anni di carcere agli imputati del processo di primo grado Fiori Bianchi 3, scaturito dall’operazione antimafia del 16 aprile 2013 condotta della Dda di Catania e dalla compagnia provinciale dei Carabinieri, allora diretta da Giuseppe La Gala. Più di cento indagati, di cui 60 imputati nel processo con il rito abbreviato, ritenuti dagli inquirenti appartenenti al nuovo organigramma di Cosa nostra catanese riconducibile alla famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano. Nell’inchiesta emerse la capillare spartizione del territorio. Una suddivisione fatta nei quartieri della città e della provincia con l’alternarsi al vertice di tante vecchie conoscenze delle cronache giudiziarie. Una mafia tradizionale ancorata alle origini che operava con i gruppi del Villaggio Sant’Agata, Picanello, Ottanta palme, Civita, Cibali, Librino, Lineri ma anche con quelli dei paesi di Acireale, Belpasso, Mascalucia, Paternò, Fiumefreddo e Riposto. Le accuse contestate a vario titolo andavano dall’associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, estorsioni, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti e rapina.
Giorgio Cannizzaro, ritenuto uno tra gli elementi chiave dell’intera organizzazione mafiosa è stato condannato a otto anni con la relativa incapacità di contrarre con i pubblici uffici. Residente da anni a Roma, dalla capitale Cannizzaro secondo gli inquirenti avrebbe «gestito gli interessi della famiglia mafiosa». Ad emergere sono rapporti di primo piano con imprenditori e con membri delle istituzioni oltre a quelli confidenziali con alcuni prelati del Vaticano. In una telefonata intercettata nel dicembre 2008, durante una conversazione con un monsignore, contattato per un matrimonio in Vaticano, quest’ultimo così si rivolgeva a Cannizzaro: «Volevo solamente inginocchiarmi e dire grazie».
Volevo solamente inginocchiarmi e dire grazie
Secondo i collaboratori di giustizia, nel suo ruolo di faccendiere sarebbe stato vicino ad Angelo Santapaola, poi inghiottito dalla lupara bianca nel settembre 2007. Poco prima dell’omicidio, per il pentito dei Carateddi Gaetano D’Aquino, Cannizzaro avrebbe addirittura fatto parte di un triumvirato della famiglia Santapaola, «con Pippo Ercolano e Natale D’Emanuele», che si sarebbe seduto al tavolo delle trattative con gli storici avversari del clan Cappelo, rappresentati da «Salvatore Caruso, Giovanni Colombrita e Gaetano La Guzzi» per discutere la rimozione di Angelo Santapaola dal ruolo di reggente. I rapporti di Cannizzaro, per gli inquirenti, si sarebbero estesi anche a Palermo con «gli uomini d’onore del quartiere Porta Nuova», e con la mafia di Trapani «con il salemese Angelo Salvatore», imprenditore arrestato nel dicembre 2012 nell’operazione mandamento eolico perchè ritenuto al servizio della primula rossa Matteo Messina Denaro. Tra i capitoli della storia che riguarda Giorgio Cannizzaro c’è anche l’affare Telekom-Serbia relativo a un presunto giro di mazzette sull’asse Roma-Belgrado; nel 2003 all’interno dell’aeroporto di Catania venne ritrovata una sua valigetta contenente alcuni documenti sull’inchiesta di cui all’epoca si stava occupando la Procura di Torino e una commissione parlamentare appositamente creata.
I nuovi equilibri di Cosa nostra catanese emersero grazie alle rivelazioni di numerosi collaboratori di giustizia con in testa Santo La Causa (condannato a 2 anni e 6 mesi), ex reggente dei Santapaola che dal 28 aprile 2012 ha iniziato a parlare con i magistrati etnei entrando nel programma di protezione. Il collaboratore nell’ambito dell’operazione Fiori Bianchi raccontò agli inquirenti non solo la distribuzione dei cosiddetti stipendi ai vari affiliati e alle famiglie dei detenuti ma tolse il velo anche su decine di estorsioni, alcune risalenti agli anni ’90. Un pizzo a tappeto, con tanto di conversione monetaria dalla lira, pagato dai titolari con somme che variavano da alcune centinaia di euro fino a diverse migliaia. Nelle rete di Cosa nostra erano finite una gioielleria, negozi di autoricambi, un agriturismo di Belpasso, una pescheria a San Pietro Clarenza, un bar di Mascalucia e un’enoteca di Catania insieme a decine di altre attività commerciali sparse nel capoluogo etneo e in provincia.
L’esito del processo:
Mirabile Angelo (16 anni),Battaglia Salvatore (12 anni), Angemi Natale Armando, Brancato Alfio, Cannizzaro Giorgio, Carbonaro Orazio, Casesa Mirko, Catania Elio, Fiore Salvatore, Fioretto Giuseppe, Lanzafame Alessandro, Leonardi Francesco, Marro Salvatore, Messina Giovanni, Miano Salvatore, Nista Carmelo, Orlando Matteo, Pavone Lorenzo, Puglisi Giuseppe, Santonocito Giuseppe, Scalogna Filippo, Scuderi Carmelo, Tringale GIuseppe, Tudisco Santo, Vinciguerra Gaetano, Zito Salvatore (8 anni ciascuno), Aisecca Salvatore (6 anni e 8 mesi), Battiato Davide, Dato Vincenzo, Faro Gianfranco, Lo Bianco Gabriele, Meli Antonino, Sciuto Carmelo, Stimoli Carmelo (6 anni ciascuno), Sciacca Salvatore e Scorciapino Ettore (4 anni ciascuno), Botta Antonino (12 anni e € 6.000 di multa), Cantone Rosario (5 anni e € 2.000 di multa), Filloramo Natale Ivan (11 anni e 4 mesi e € 6.000 di multa), Guarrera Mario (13 anni e € 6.000 di multa), Nizza Andrea Luca (6 anni e 8 mesi e € 30.000 di multa), Platania Francesco (12 anni e 8 mesi e € 6.000 di multa), Puglisi Carmelo (12 anni e 8 mesi e € 3.000 di multa), Stimoli Pietro (10 anni e 8 mesi e € 2.000 di multa), Barbagallo Ignazio (7 anni e 6 mesi e € 3.000 di multa), La Causa Santo (2 anni e 6 mesi e € 2.000 di multa), Pappalardo Filippo Santo (2 anni e 2 mesi e € 2.000 di multa). Tutti gli imputati sono stati inoltre condannati al pagamento delle spese processuali e di quelle delle proprie custodie cautelari. Assolti dall’accusa di associazione mafiosa per non aver commesso il fatto; Battaglia Marco, Bosco Giuseppe, Calì Salvatore, Di Stefano Angelo, Fiocco Maurizio, Manara Agatino, Nicotra Gianpiero, Nizza Andrea Luca, Petronio Domenico, Presti Gianluca, Prezzavento Stefano, Scuderi Salvatore, Tosto Giovanni e Tropea Giovanni. Tutti gli imputati sono stati condannati al risarcimento dei danni alle parti civili.
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