«È nella massoneria che si possono avere i contatti con gli imprenditori, le istituzioni, gli uomini che amministrano il potere diverso da quello punitivo che ha Cosa nostra». Il pentito nisseno Leonardo Messina è stato uno dei primi collaboratori di giustizia a parlare dei rapporti tra mafia e logge. Oggi quelle parole, vecchie di oltre vent’anni, tornano nella relazione della commissione nazionale antimafia che ha indagato sui rapporti tra questi due mondi, in alcuni casi sovrapposti. Succede in maniera particolare a Trapani, a cui è dedicato ampio spazio. Un territorio dove si mischiano fattori particolari: la presenza di una mafia dalle «caratteristiche proprie», sia per «la particolare capacità di infiltrazione nell’amministrazione pubblica» sia per «la centralità della cittadina di Castelvetrano», terra del latitante Matteo Messina Denaro. In provincia si contano 19 logge massoniche, almeno quelle dichiarate, di cui sei nella sola Castelvetrano. E sempre a Trapani per la prima volta è stata commissariata una banca, quella di Paceco, per una gestione, intrisa di massoneria in alcune figure apicali, accomodante rispetto a soggetti mafiosi. È partendo da questi elementi che la commissione Antimafia ha svolto una visita in provincia di Trapani e dedicato un capitolo della sua relazione a Castelvetrano, dove il Comune è attualmente commissariato dopo essere stato sciolto per il rischio di infiltrazioni mafiose.
I deputati hanno preso in esame le ultime consiliature comunali, a partire dal 2007, e hanno contato gli amministratori iscritti alle logge massoniche. Nella prima (2007-2012) «otto consiglieri su 30 appartenevano, o avevano chiesto di entrare in logge massoniche delle quattro obbedienze in esame (quattro al Grande Oriente d’Italia e quattro alla Gran Loggia Regolare d’Italia)». Così come nelle varie giunte nominate dall’allora sindaco di centrodestra Giovanni Pompeo si alternano cinque assessori iscritti alle logge. Cinque anni dopo, nel consiglio comunale eletto nel 2012, risultano undici iscritti ad associazioni massoniche, di cui uno diventa assessore nella giunta del sindaco Felice Errante. Degli undici consiglieri, «sei compaiono negli elenchi estratti nella posizione di attivo; due risultano come depennati in data antecedente o prossima all’assunzione dell’incarico pubblico; uno invece risulta aver presentato a una delle quattro obbedienze una domanda di regolarizzazione: si tratta cioè di un soggetto che, già iscritto a una associazione massonica, chiede di transitare in un’altra».
Nella nuova giunta nominata da Ferrante l’11 febbraio del 2015, il numero di assessori massoni aumenta considerevolmente: sono cinque su dodici, cioè poco meno della maggioranza. «In sintesi – sottolinea la commissione – considerando le ultime due consiliature del Comune di Castelvetrano, hanno assunto cariche elettive o sono stati membri di giunta almeno 17 iscritti alle quattro obbedienze di cui si dispongono gli elenchi. A questi potrebbero aggiungersene verosimilmente altri quattro, per un totale, dunque, di 21 amministratori pubblici». Il dubbio è legato alla presenza negli elenchi massonici di quattro omonimi di altrettanti consiglieri comunali, senza luogo e data di nascita. In più figurano iscritti alle logge anche diversi dirigenti e dipendenti comunali.
La commistione tra politica, professionisti e massoneria in provincia di Trapani è documentata da diverse inchieste del passato. Trova ampio spazio nella sentenza della corte d’Assise di Trapani sull’omicidio del giornalista Mauro Rostagno, in cui si parla di «uno scenario inquietante dei rapporti tra mafia e massoneria, sia regolare che deviata». Il riferimento è, per esempio, al circolo Scontrino di Trapani, presieduto negli anni ’80 dal professore Giovanni Grimaudo: lì avevano sede sei logge massoniche dichiarate e una segreta in cui figuravano insieme imprenditori, banchieri, liberi professionisti del luogo, i maggiori esponenti della mafia trapanese, della politica e della pubblica amministrazione locale. È il terzo livello, descritto nel processo Rostagno dall’avvocato e politico del Pci Salvatore Cusenza, come «la camera di compensazione di affari che non potevano trovare equilibrio in altre stanze e che lì potevano trovare il momento dell’accordo».
La commissione Antimafia riconosce nella sentenza del processo Rostagno un valore che va oltre quel singolo caso, perché «lascia intravedere la possibile attualità di collegamenti alle più recenti vicende sui rapporti tra imprenditoria, centri di potere, amministrazioni locali e criminalità, anche verificatisi in altri territori del Paese, quasi in assenza di soluzione di continuità tra passato e presente. Una commistione di rapporti e di interessi convergenti che avrebbe visto seduti, attorno allo stesso tavolo per la spartizione dei più disparati affari, uomini provenienti da mondi diversi e che avrebbe agevolato la penetrazione di Cosa nostra nell’imprenditoria, nelle banche e negli apparati dello Stato, favorita con tutta probabilità dal crescente ruolo delle fratellanze massoniche».
E proprio a una banca porta una delle ultime inchieste della magistratura sulla massoneria a Trapani. È quella sull‘istituto di Credito Cooperativo Sen. Pietro Grammatico, commissariato nel novembre del 2016, perché ritenuto a servizio di soggetti appartenenti e vicini alla mafia trapanese, a cominciare da Filippo Coppola, detto u prufissuri, condannato per associazione mafiosa, indicato come vicino ai boss Vincenzo Virga e Matteo Messina Denaro. Soggetti che sarebbero stati liberi di contrarre mutui ed eseguire operazioni finanziarie nonostante le condanne. Grazie anche ad amici o parenti stretti all’interno dell’istituto, in alcuni casi anche in posizioni di vertice e vigilanza.
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