Mafia nigeriana: giuramenti, preghiere e punizioni corporali «Picchiano con ogni mezzo e sputano qualcosa negli occhi»

Musica, cori in sottofondo, sostanze da fumare e il rimbombo dei colpi del picchiato di turno. E poi la formula di rito che dà il via all’iniziazione: «Debitamente giuro di sostenere Eiye confraternita moralmente, spiritualmente, finanziariamente e in qualsiasi altro modo. E se non lo faccio, che il vulture (avvoltoio ndr) spietato strappasse i miei due occhi». Mentre prosegue senza sosta la fustigazione, accompagnata da canti e preghiere. È così che l’organizzazione criminale nata in Nigeria e trapiantata soprattutto a Torino, fino ad arrivare nelle piazze di Ballarò, affiliava «per l’eternità» i nuovi sodali. «Apri la bocca e ingoia. Se dovessi aprire gli occhi, qualunque cosa vedrai dovrai sopportarlo», prosegue il rito. Non è solo una formuletta, quella pronunciata tra una frustata e l’altra. Ma un momento che marchia a vita, durante il quale il sodale diventa di proprietà di quella confraternita che giura di far diventare grande. Fare parte della Eiye, infatti, comporta numerosi obblighi, «non sei entrato negli Eiye per poi stare a casa». E guai a non rispettarli o a non voler fare quanto comandato, perché «ti troveranno ovunque andrai». Tutti dettagli intercettati dagli investigatori durante l’esecuzione del rito, che hanno contributo a mettere a segno l’operazione di questa mattina No Fly Zone.

Chi del gruppo fa già parte da prima, individua e tiene d’occhio i possibili futuri sodali da far entrare nell’organizzazione. Una vera e propria opera di proselitismo, nel tentativo di ampliarsi sempre di più. A essere scelti sono in genere persone dalla particolare prestanza fisica che, una volta invitate a unirsi, non possono in alcun modo tirarsi indietro altrimenti andrebbe incontro a punizioni corporali. Sono una delle caratteristiche dell’organizzazione, per moltissimi aspetti simile a Cosa nostra. Anche qui ci sono regole e dogmi, giuramenti e riti di affiliazione, riunioni tra sodali e business illeciti. Il tutto condito da un’immancabile dose di violenza, che segna il percorso di ogni affiliato già sul nascere. Anche perché l’iniziato di turno viene sottoposto a pesanti atti di violenza per testare la serietà delle sue intenzioni. «La notte in cui sono entrato negli Eiye è stata tremenda», racconta ai magistrati Chuckwudi Ofladu, neo collaboratore, al pari del predecessore Austine Johnbull, che ha rinnegato gli ex compari della Black Axe. È il 3 ottobre 2018 quando tira fuori tutti i suoi ricordi davanti ai magistrati, che lo ascoltano attenti. «Ero fuori, mi hanno bendato e fatto stendere per terra, hanno preso un bastone e mi hanno picchiato in tutto il corpo».

Ma purtroppo per lui è solo l’inizio. «Dopo che mi hanno picchiato per alcune ore, una persona che era davanti a me ma che io non vedevo mi ha detto che tutto quello che sarebbe successo nella stanza era segreto e che dovevo ripetere quello che lui diceva. Mi hanno chiesto il mio nome e il mio cognome, poi mi hanno detto che avrei dovuto giurare». È un giorno di luglio del 2003. E malgrado siano trascorsi ormai sedici anni, Sparrow, questo il soprannome assunto dentro la confraternita, racconta con precisione ogni passaggio di quel copione come fosse accaduto tutto ieri. «Mi hanno tolto la benda, mi hanno aperto gli occhi e mi hanno sputato qualcosa dentro, come del pepe. Io non riuscivo a vedere, mi davano schiaffi sulle orecchie, mentre io cercavo di aprire gli occhi perché volevo che smettessero». E poi quella parola, «rugged», ripetuta dai membri più anziani, quasi fosse un complimento. «È una parola che usiamo quando uno dei membri è stato bravo e ha affrontato una situazione difficile, noi diciamo che ha attraversato il passaggio del diavolo – spiega il collaboratore -. È una parola Eiye. Se una persona che non è Eiye usa questa parola in Nigeria viene ammazzata. Anche in Italia lo sanno».

Da quel giorno di luglio, per Ofladu inizia a tutti gli effetti una seconda vita. Che sarà legata a doppio filo al «god father», cioè il padrino che lo ha introdotto, a cui ha donato 48mila naire per poter entrare nel gruppo. All’interno del quale ognuno, a turno, ha una sua personale ascesa, fino a ritrovarsi a fare le stesse cose che poco tempo prima aveva subito sulla propria pelle. È così anche per lui, che da iniziato si ritrova a vestire in breve i panni dell’iniziatore, «io sono quello che ha sputato negli occhi di due nuovi membri». Mentre Uyi Sunday, nel gruppo solo Action, entra nella confraternita quattro anni dopo, a Benin City. «Ho cominciato quando ho avuto un incidente con la moto, il 2 agosto 2007. Ho ucciso una donna investendola». I membri di Eiye lo avvicinano col pretesto di dargli una mano. Già prima erano andati da lui, ma aveva rifiutato ogni tipo di contatto. Dopo quell’incidente, non può tirarsi indietro. Anche perché la donna che ha ucciso con la sua moto è la moglie di un membro dell’organizzazione criminale. la scelta quindi di piegarsi ed entrare nel gruppo gli costa 50mila naire. Raccolti i soldi, viene portato nell’aula di una scuola, e da quel momento anche lui scatta il solito copione: «Ho dovuto stendermi per terra a faccia in giù, mi hanno legato le mani dietro la schiena e mi hanno colpito sulle gambe e sulle orecchie Poi mi hanno tolto la benda – ricorda anche lui -. Mi hanno picchiato talmente forte quasi vicino alla morte. Non potevo parlare, c’erano circa venti persone là in quel posto ma non so in quanti mi hanno picchiato».

«Possono usare qualunque cosa per colpirti. Tutto tranne spararti – precisa -, usano pezzi di legno, bastoni, asce, coltelli. Danno colpi a entrambe le orecchie contemporaneamente… Da quel giorno io ho una cicatrice sulla spalla sinistra, è stato un colpo di pistola. Ci sono persone che sono entrate negli Eiye che non possono più alzarsi dopo quel giorno o che non sentono più. È per questo che sono così violenti. Subito dopo che mi hanno picchiato mi hanno messo il cibo in bocca e dopo mi hanno tolto la benda e in quel momento l’Ibaka ha sputato sui miei occhi e faceva male perché lui aveva qualcosa di piccante in bocca. E poi ha alzato una mano indicando dei numeri e chiedendo quante dita vedevo. Io ho detto tre ed era la risposta giusta e quindi quando dici la risposta giusta smettono di picchiarti». 

Un rituale uguale per tutti quelli che decidono di diventare, volontariamente o meno, parte del gruppo. Un gruppo che fonda autorità e autorevolezza anche sull’utilizzo di un linguaggio convenzionale comunemente utilizzato tra gli affiliati sia per riconoscersi reciprocamente che per parlare tra loro delle vicende interne all’associazione e il cui uso è invece tendenzialmente vietato ai soggetti esterni al sodalizio. Accanto al linguaggio esistono poi altri elementi individualizzanti comunemente riconosciuti all’interno della comunità nigeriana come simboli tipici del cult Eiye e i colori, dal blu e il bianco al giallo e al rosso, la bandiera e il saluto anch’esso utilizzato solo tra i sodali, che simula con la gestualità gli artigli di un rapace. Tutti simboli che fanno riferimento al mondo del cielo e degli uccelli. I vertici più in alto del gruppo si chiamano struzzo, colomba, pappagallo, mentre gli affiliati per salutarsi tra loro utilizzano spesso anche il verso di un grande uccello che grida nella foresta.

E poi c’è il numero otto, dotato per il gruppo di una particolare carica simbolica. Viene utilizzato per rappresentare l’ascia. Secondo uno dei collaboratori, indicherebbe anche un giorno speciale per gli Eiye, collegato all’ottavo mese dell’anno, durante il quale «si celebra la fondazione dei vari nidi, ossia dei nests». Un vero e proprio codice di riconoscimento, insomma, che ruota attorno a quattro parole chiave: segretezza, «vuol dire che di una cosa non si deve parlare»; autocrazia, «sta ad indicare che tutti possono essere puniti. E quando dico essere punito intendo dire ad esempio che se loro ti dicono di andare ad una riunione e tu non ci vai loro ti possono picchiare»; disciplina, «significa rispettare gli altri birds ossia tutte le altre cariche che ho nominato prima, gli excos, la gerarchia. Se tu vedi un altro membro Eiye che ad esempio uccide qualcuno non lo puoi dire a nessuno. E se un membro va a dire cose del genere ad esempio alla Black Axe rischia che vengano uccisi dei membri»; infine, fratellanza, «cioè difendere un fratello».

Silvia Buffa

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