Cosa nostra era entrata in affari con la vendita della carne. Milioni di euro di fatturato per una filiera che aveva come ultimo passaggio i rifornimenti delle macellerie all’interno di decine di supermercati di tutte le province siciliane. I nomi, emersi nell’indagine Caronte della Procura di Catania, sono quelli di Carmelo Motta e del calabrese Giovanni Malavenda. Per entrambi, i magistrati Antonino Fanara e Agata Santonocito hanno chiesto la condanna rispettivamente a quattro anni e sei mesi e otto anni.
Tra la fine del 2009 e gli inizi del 2010 vengono alla luce i contatti tra l’imprenditore Motta e Rosario Bucolo, ritenuto inserito nella famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano. Non solo un rapporto amichevole, secondo gli investigatori, ma anche l’interesse di Cosa nostra per gli affari di Carmelo Motta nel commercio della carne. Tra le società che fanno riferimento all’imprenditore di Belpasso c’è la Due Emme srl, che nel 2009 chiude un contratto con Meridi srl per la fornitura delle macellerie di 30 discount a marchio Fortè in tutta la Sicilia. Una catena di proprietà del compaesano Nino Pulvirenti – patron del Calcio Catania – che detiene il 99,9 per cento delle quote di Meridi.
Un affare da quasi tre milioni di euro. Che viene ridimensionato l’anno dopo, quando i punti vendita gestiti scendono a 14 e il fatturato cala a due milioni e mezzo. Una circostanza che gli inquirenti mettono in relazione con l’arresto, nel 2009, di Vincenzo Aiello, capo dei Santapaola in provincia di Catania. In ogni caso, nuovi contratti per i Fortè vengono stipulati nel 2011. Stavolta con la GE.MA. srl – intestata a una figlia di Motta, ma ritenuta la continuazione della Due Emme – e poi con la SO.ME.CA. – società riconducibile sempre a Motta – per i supermercati in provincia di Palermo.
In alcune intercettazioni, secondo le forze dell’ordine, gli appartenenti alla famiglia Santapaola «confessano» come Cosa nostra sia «socia» di Motta. Nell’ottobre 2009 è lo stesso Bucolo a consigliare all’imprenditore di Belpasso di rifiutare una proposta commerciale. «Gli devi dire “ho parlato con i miei soci e non posso”». In un altro dialogo si fa invece riferimento alla volontà di Meridi di far lasciare a Motta alcune macellerie. Bucolo si propone come mediatore. Perché «se lui, Motta, lasciava le macellerie, non avrebbe più potuto versare le somme di denaro a Cosa nostra – scrivono gli investigatori – fatto che evidentemente interessava in qualche modo anche Meridi».
Da Belpasso a Reggio Calabria. Giovanni Malavenda è l’altro imprenditore nel settore della carne ritenuto bifronte dagli inquirenti. In passato, il padre Tommaso è stato sospettato di essere un esponente della cosca dei Labate e della famiglia ‘ndranghetista Carbone. Il figlio è invece ritenuto «protetto» da Cosa nostra catanese, che «ne curava gli interessi in Sicilia». Nel 2006 Malavenda conclude numerosi contratti con Eurospin Sicilia – catena che nell’Isola è già finita al centro dell’inchiesta antimafia Iblis – per la gestione di macellerie nei punti vendita. A risultare sospetta anche la presenza, nella stessa filiale bancaria di Reggio Calabria, dei conti della Due Emme di Motta e di Malavenda. Altro punto in comune è poi Bucolo. Durante un viaggio a Milano – con altri due imputati del processo Caronte – è Malavenda «a indicare ai tre mafiosi in quale hotel dormire, quale auto utilizzare oltre a inviargli un vaglia postale da 2000 euro».
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