Mafia, la successione a Riina e il rischio di atti di forza Allarme della Dia: «Anche azioni criminali di bassa lega»

Il pizzo, ancora e soprattutto. E poi l’usura, il mercato della droga, l’infiltrazione negli appalti pubblici, l’imposizione di ditte compiacenti (specie nel settore agricolo ed edile), giochi e scommesse. Sono molteplici e variegati gli interessi della mafia palermitana, fotografati dalla Direzione Investigativa Antimafia nella relazione semestrale (che viene inoltrata al Parlamento) e che esamina le dinamiche del mondo criminale attraverso le operazioni delle forze dell’ordine avvenute nel 2017. Il territorio provinciale risulta suddiviso in 15 mandamenti (otto nel capoluogo siciliano e sette in provincia), composti da 80 famiglie (32 in città e 48 in provincia).

«A differenza di altre organizzazioni criminali, Cosa nostra non può rinunciare a dotarsi di un nuovo capo. La sua forza ha sempre risieduto nell’essere un modello strutturato gerarchicamente, unitario e verticistico». La relazione della Dia sulla provincia di Palermo parte da un vuoto. Quello lasciato dal capo dei capi Totò Riina, e dalla sua morte avvenuta il 17 novembre 2017, che per gli agenti «costituiva, almeno da un punto di vista simbolico, una garanzia dell’unitarietà e monoliticità dell’organizzazione».

Per Cosa nostra, dunque, la morte del boss corleonese segna l’inizio di una fase delicata. Col «rischio di forti tensioni che potrebbero sfociare in atti di forza, con pericolose ripercussioni nell’immediato». Chi potrà raccogliere l’eredità di Riina che, anche se da tempo malato e confinato in carcere, continuava a essere il punto di riferimento per la mafia del Palermitano? La Dia sembra prendere poco in considerazione il nome certamente più chiacchierato, definendo «assai improbabile» la successione di Matteo Messina Denaro. Certamente è «l’esponente di maggior caratura» tra i latitanti mafiosi ma i boss palermitani «non accetterebbero di buon grado un capo proveniente da un’altra provincia. Inoltre, negli ultimi anni, si sarebbe disinteressato delle questioni più generali attinenti Cosa nostra, per poter meglio gestire la latitanza e, semmai, gli interessi relativi al proprio mandamento e alla correlata provincia (Trapani … ndr). Lo stesso Riina, intercettato in carcere, si era lamentato di tale comportamento».

D’altra parte il ruolo dei corleonesi diventa sempre più marginale: gli anziani uomini d’onore «sono detenuti con pene definitive all’ergastolo e ristretti in regime detentivo speciale», mentre di questa situazione di debolezza potrebbero profittare «giovani capi emergenti e in via di affermazione». E allo stesso tempo si teme il ritorno dei cosiddetti scappati, cioè perdenti sopravvissuti alla “guerra di mafia” vinta dai corleonesi e costretti a rifugiarsi all’estero, specie in Nord America. «In una tale situazione evolutiva  – scrivono gli investigatori – l’organizzazione mafiosa continuerà verosimilmente a essere caratterizzata da un «organismo collegiale provvisorio», costituito dai capi dei mandamenti urbani più forti e rappresentativi della città, con funzioni di consultazione e raccordo strategico, che continui a esprimere, in via d’urgenza e immediata, una linea guida nell’interesse comune, specie se volta a regolare le scelte affaristico-imprenditoriali».

A partire dal pizzo, che rimane «non solo una fonte primaria di sostentamento ma, anche un irrinunciabile strumento di controllo del territorio». Cosa nostra poi, in un’era di crisi che sembra non finire mai, si avvale spesso del prestito a usura. Un fenomeno molto diffuso in provincia, come segnalato dagli stessi commercianti,e  che coinvolge in maniera pressoché indiscriminata tutti gli stati sociali. «Emblematico, in tal senso, il sequestro eseguito nel mese di agosto dalla Dia di Palermo, di un’azienda e disponibilità finanziarie varie, nei confronti di un personaggio facente parte dell’articolazione di Cosa nostra operante nel quartiere dello Zen e punto di riferimento per la perpetrazione di estorsioni e per il controllo delle attività commerciali, nonché attivo nella gestione del traffico di sostanze stupefacenti». 

Ma la crisi sembra esserci anche per la mafia. «Occorre anche evidenziare che la perdurante crisi economica non sembra aver risparmiato Cosa nostra che, per sopperire a un deficit di liquidità, sembra dedicarsi anche ad attività illegali di basso profilo, normalmente appannaggio di delinquenti comuni. Si palesa, infatti, una recrudescenza di reati predatori, oltreché verso istituti di credito, uffici postali ed oreficerie, anche ai danni di rivendite e di autotrasportatori di tabacchi. In merito, da tempo si registra il coinvolgimento di appartenenti a Cosa nostra, o di loro stretti congiunti, nella commissione di rapine».

Palermo poi continua a essere la capitale siciliana della droga. «Altra caratteristica peculiare del territorio – si legge ancora nella relazione – è la diffusione delle piantagioni di cannabis, la cui coltivazione è agevolata da un clima particolarmente caldo/umido, e che risulta organizzata in modo professionale, con l’utilizzo di stabili impianti di irrigazione e realizzata sia in zone impervie della provincia che nell’area metropolitana, ad esempio nei pressi del fiume Oreto. La produzione in loco genera, tra l’altro, maggiori margini di guadagno, riducendo anche i rischi connessi al trasporto».

Non manca poi la “solita” corruzione dei pubblici uffici, soprattutto per aggiudicarsi importanti appalti. Ma in realtà, molto più spesso, Cosa nostra preferisce subentrare attraverso subappalti o imponendo forniture, manodopera e mezzi attraverso la cosiddetta messa a posto dell’imprenditore. Oppure attraverso l’utilizzo di prestanome: figure che alla mafia palermitana sembrano non mancare mai e rigenerarsi in continuazione. La Dia pone poi l’accento sul gioco d’azzardo: secondo la vulgata istituzionale all’aumentare dell’offerta di giochi pubblici sarebbero dovuti diminuire gli appetiti criminali. In realtà «tutti i mandamenti risultano indistintamente interessati al settore, tanto che molte famiglie spingerebbero per favorire l’apertura, nel proprio territorio, di nuove agenzie. In tal modo, Cosa nostra non solo si insinua aggredendo questa nuova forma di imprenditoria con il metodo estorsivo, ma si adopera anche per assumere direttamente il controllo dei centri scommesse più avviati».

Infine c’è il rapporto con le organizzazioni criminali straniere. In tal senso appare anche qui una mafia palermitana più debole rispetto al passato, che a volte preferisce convivere con esse, marcando solamente i confini del territorio. «Le famiglie paiono mantenere – conclude la Dia – il controllo delle attività economiche che si svolgono nelle zone di rispettiva competenza, tollerando la presenza di gruppi organizzati stranieri soltanto in ruoli marginali di cooperazione o di subordinazione. Tuttavia, in un territorio che è interessato da un flusso di stranieri in progressiva crescita, è da tempo disponibile anche una manovalanza criminale costituita da immigrati stanziali, anche di seconda generazione, provenienti principalmente dal continente africano».

Andrea Turco

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