Mafia, la doppia vita pubblica di Giuseppe Lo Porto Dai funerali del fratello cooperatore a ‘u Muccuni

«Ora gli mando un po’ di soldi a Letizia e a Francesca». Giuseppe Lo Porto, ‘u Muccuni, nella famiglia di corso dei Mille, si occupava della gestione della cassa. Un ruolo importante, da cui dipende il sostentamento dei detenuti del clan e delle loro famiglie. Per questo dagli inquirenti è ritenuto molto vicino al capo, Pietro Tagliavia. Eppure alle cronache era balzato non per vicende giudiziarie – non è mai finito sotto la lente degli investigatori nonostante il suo operato per la famiglia, pare, durasse dagli anni Novanta – ma per essere il fratello di Giovanni Lo Porto, il cooperante palermitano ucciso in Afghanistan dal fuoco amico di un drone statunitense che ha bombardato lo stabile in cui era stato portato dopo il suo rapimento. E durante i funerali laici del giovane, Giuseppe si era fatto notare per una reazione scomposta nei confronti di una giornalista.

«Salvami da questi sciacalli, vedi dove mi devi portare, vammi a chiudere a casa tua, non mi fare uscire più di dentro, non lo so». A tal punto si sarebbe spinta la fiducia nei suoi confronti da parte del boss Tagliavia, che intercettato in una pescheria insieme a due sodali, racconta la richiesta d’aiuto quasi disperata presentata a ‘u Muccuni. Ed è proprio grazie al suo soprannome che Lo Porto riuscì a schivare le manette durante una prima ondata di arresti nati dalle dichiarazioni del pentito Pietro Romeo, che conosceva il suo ruolo all’interno dell’organizzazione, ma non era in grado di associare un volto e un nome a ‘u Muccuni. «Quando hanno arrestato a tutti – racconta Lo Porto in un’intercettazione carpita dagli inquirenti – a me lo sai perché non mi conosceva per ‘u Muccuni, lui gli ha detto ma chi è questo ‘u Muccuni e lui gli fa: no, io non lo conosco ‘u Muccuni e poi si è saputo. Allora hanno sequestrato la Transalp di Cosimo».

Mangiavano spesso insieme, Lo Porto e Tagliavia. Ma il loro legame andava oltre, tanto che per ‘u Muccuni, nei dialoghi telefonici con la sua fidanzata, parlava del boss appellandolo come «la mia ex». Il fratello del cooperante infatti era sempre disponibile, era lui, secondo gli investigatori, ad acquistare per il boss ricariche telefoniche, beni di prima necessità, persino l’acqua. Un’attività che da subito non ha insospettito poliziotti e finanzieri, che hanno fatto luce sulla vicenda, ma che alla lunga hanno tracciato il profilo del tesoriere della cosca affibbiato a ‘u Muccuni, fino a capire che nelle richieste di Tagliavia con cassette d’acqua non si intendeva sempre del beveraggio. Insomma, dove c’era del denaro pare ci fosse Giuseppe Lo Porto. La fiducia di Tagliavia era tale che persino al telefono non si curava di utilizzare particolari linguaggi in codice. Un registro invece adottato dagli altri sodali, che si basavano sui semi delle carte siciliane. ‘U cinque d’ariemi, il cinque di denari, intendeva una buon somma da consegnare a un uomo interno alla cosca, previa ovviamente autorizzazione del capo, Tagliavia.

Gabriele Ruggieri

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