«Su questa vicenda scriverò un libro». Gli spunti, al governatore siciliano Raffaele Lombardo, non mancheranno di certo. Un nuovo capitolo è stato scritto oggi, con la notizia dell’imputazione coatta per concorso esterno in associazione mafiosa nei suoi confronti e del fratello Angelo, deputato nazionale Mpa, decisa dal gip di Catania Luigi Barone. Solo l’ultimo dei colpi di scena di una vicenda giudiziaria che sembrava già scritta e che vedeva tutti d’accordo – accusa e difesa – ma che invece si fa sempre più complicata. E non ancora terminata. «Vorrei ricordare a tutti questi signori che non c’è stato alcun rinvio a giudizio – risponde il presidente al coro di polemiche politiche suscitate dalla decisione del giudice – anzi sono certo che non ci sarà neppure in futuro. Nel caso dovesse succedere mi dimetterò. Non mi aspettavo questa ordinanza del gip ma sono sereno e rispettoso del lavoro dei magistrati». La possibilità di un processo nei confronti dei due fratelli dovrà infatti passare da un altro giudice e da un’udienza preliminare che il governatore si augura «sia convocata al più presto possibile». Mentre, in parallelo, continua il procedimento nei loro confronti per voto di scambio.
Ripercorriamo la Lombardos’ Story. E’ il novembre del 2010 quando la maxi operazione Iblis scuote il mondo della politica e dell’imprenditoria di Catania e provincia. Politici e imprenditori vengono accusati di collusioni con esponenti della criminalità organizzata, in un sistema fatto di appalti e appoggi elettorali. Tra questi, anche Raffaele Lombardo, già presidente della Regione, e il fratello Angelo, deputato nazionale Mpa. Ad accusarli sono le testimonianze dei collaboratori di giustizia e diverse intercettazioni ambientali e telefoniche di conversazioni tra uomini d’onore. Su tutti, il boss di Ramacca Rosario Di Dio che, in una registrazione, promette che non appoggerà mai più il governatore, definito «un cornuto che non ce nè». Per i due fratelli scatta l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Fino a giugno del 2011, quando l’allora reggente facente funzioni della procura etnea Michelangelo Patanè avoca le indagini e decide, insieme al collega Carmelo Zuccaro, di stralciare la posizione dei Lombardo da quella degli altri indagati. L’accusa nei loro confronti, spiegano i magistrati, non avrebbe retto in fase di giudizio: troppo difficile provare che da parte dei due politici ci sia stato un concorso esterno a Cosa Nostra, soprattutto alla luce della contemporanea sentenza nei confronti dell’ex ministro Calogero Mannino, accusato dello stesso reato. In quel caso, infatti, la Cassazione aveva stabilito che, affinché si possa parlare di concorso esterno, non basta provare gli eventuali contatti dell’imputato con la mafia o l’appoggio di quest’ultima. Da dimostrare è invece l’effettiva contropartita offerta dal politico in cambio dell’aiuto nelle urne. Prove che, nel caso di Lombardo, Patanè e Zuccaro pensavano di non avere. I due pm decidono così di derubricare l’accusa in reato elettorale: i fratelli, dicono, avrebbero chiesto a Cosa Nostra un aiuto in occasione di diverse consultazioni, ottenendolo (questa imputazione al momento è al centro di un processo parallelo).
La decisione di Patanè e Zuccaro adesso sconfessata dal gip Barone aveva già fatto discutere a suo tempo. Non convinti, i quattro sostituti titolari del caso Giuseppe Gennaro, Antonino Fanara, Agata Santanocito e Iole Boscarino fecero ricorso al Csm. Che, pur non riscontrando nessuna violazione, ricordò come il cambio di unaccusa con unaltra «non può certo comportare unelusione dellobbligo di sottoporre al vaglio del giudice» la scelta di archiviare lazione penale su fatti ipotizzati in precedenza. Archiviazione chiesta da Patanè e Zuccaro lo scorso novembre, quasi come una formalità. Ma l’accordo di sostanza tra accusa e difesa si scontra con il gip già a gennaio: quando Luigi Barone decide di non accogliere la richiesta e fissare una serie di udienze a porte chiuse. Fino alla svolta di oggi, con l’imputazione coatta per i due fratelli. Entro una decina di giorni, la procura sarà così costretta a tornare sui propri passi e a formulare una richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Raffaele e Angelo Lombardo per concorso esterno in associazione mafiosa. Richiesta su cui toccherà a un altro giudice pronunciarsi.
Dal canto suo, il procuratore capo Giovanni Salvi, rimane convinto della bontà dell’operato dei due pm che hanno richiesto l’archiviazione: «C’erano valutazione diverse – ha affermato Salvi – e la nostra posizione è stata sempre chiara e si basava su valutazioni giuridiche». Di elementi concreti, secondo il procuratore, non ce n’erano. Da qui la scelta dell’archiviazione. «La decisione del giudice su una complessa questione di diritto, che non intacca gli elementi di fatto, ma soltanto la loro valutazione in termini giuridici è accolta con serenità. Continueremo a fare il nostro lavoro con la stessa serenità di sempre – conclude il procuratore – seguendo le indicazioni che sono arrivate dal giudice».
E di serenità parla pure Guido Ziccone, avvocato dei fratelli Lombardo. «Ho comunicato io stesso la notizia al presidente Lombardo, il quale l’ha appresa con molta serenità. Ovviamente viene ribadita la piena estraneità ai fatti» continua il legale. Le prime udienze si dovrebbero svolgere tra un mese circa, e in quell’occasione – l’avvocato Ziccone ne è certo – i Lombardo avranno modo di dimostrare la propria innocenza.
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