Droga, estorsioni, usura. Sono i tre pilastri su cui le famiglie mafiose catanesi accumulano potere, denaro e capacità di intimidazione. In altre parole, controllo del territorio. La diapositiva restituita dalla relazione della Direzione investigativa antimafia per il secondo semestre del 2016, pubblicata ieri, ritrae «dinamiche criminali di alleanze e conflittualità sostanzialmente inalterate» rispetto ai sei mesi precedenti.
Il panorama etneo, egemonico sull’intera Sicilia orientale, è come sempre caratterizzato dalla presenza di cosche legate a Cosa nostra, come i Santapaola, i Mazzei e i La Rocca, e da clan come i Cappello, i Bonaccorsi e i Laudani. Per rimanere ai confini comunali, i Santapaola-Ercolano – secondo la grafica contenuta nel documento – risultano egemonici nei quartieri di San Giovanni Galermo, Picanello, Civita, Monte Po Nesima, Zia Lisa e Librino. Mentre i tentacoli dei Cappello si estendono in particolare a Cibali, San Berillo e San Cristoforo. A Canalicchio emergono i Laudani, al Borgo i Pillera-Puntina, a Nesima i Cursoti. Ma sono molte le zone della città in cui due o più sodalizi convivono. E uno schema di questo tipo riguarda anche l’intero territorio provinciale.
Le organizzazioni catanesi sono dotate di una «significativa disponibilità di armi». Una circostanza confermata dall’operazione Kallipolis, che il 6 dicembre 2016 ha colpito il clan Brunetto, una delle articolazioni dei Santapaola-Ercolano. Ma il core business rimane il commercio di stupefacenti, e le attività della Dia sul territorio lo dimostrano: è il caso, per fare un esempio, dell’inchiesta Carthago, del luglio 2016, eseguita dai carabinieri contro un nutrito gruppo di affiliati ai Santapaola-Ercolano, alcuni dei quali in posizioni di vertice. Si consolida un altro dato, menzionato poche settimane fa anche dalla relazione annuale della Dna: l’approvvigionamento del prodotto beneficia dei legami sempre più stabili con la ‘ndrangheta. In questo senso la relazione menziona l’operazione Rent, condotta contro le ‘ndrine di Reggio Calabria Aquino e Coluccio, nonché i Bellocco e i Piromalli, attivi nella zona tirrenica. Ma sono documentati anche i rapporti con clan pugliesi e campani. Relazioni che riguardano prima di tutto lo smercio di cocaina.
Le estorsioni, uno strumento diretto di controllo del territorio, sono invece un fenomeno che «si manifesta sia su vasta scala che nei confronti di piccoli operatori economici, assumendo svariate forme di prevaricazione», un «sistema criminale silente», le cui dimensioni sono assai «complesse da stimare, anche per la tendenza non infrequente a coprire dette attività con condotte di favoreggiamento». In altre parole: meno si denuncia, più il contrasto risulta difficile. Non che siano mancate operazioni delle forze dell’ordine in questo campo: si può citare, tra le altre, l’inchiesta Black Tie, conclusa a settembre nei confronti di soggetti considerato contigui al clan Cappello-Bonaccorsi. Un caso in cui l’interesse investigativo è duplice, perché descrive un contesto in cui il cancro delle estorsioni favorisce l’insorgere di un metastasi micidiale: l’usura.
Detto dei reati di mafia, c’è poi il capitolo dei colletti bianchi e dei reati contro la pubblica amministrazione. Qui la Dia ricorda la sua operazione dell’ottobre 2016 ad Aci Catena, quando finirono in arresto per corruzione l’allora sindaco Ascenzio Maesano e l’ex consigliere comunale Orazio Barbagallo, insieme al responsabile della società di servizi informatici Halley consulting Giovanni Cerami. I due politici sono stati condannati in primo grado otto giorni fa. Il paragrafo sul territorio catanese si chiude con un cenno ai sequestri operati contro i patrimoni derivanti da attività illecite e con un breve passaggio sulla criminalità di matrice straniera, in particolare per i crimini come la prostituzione e la tratta di persone.
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