Per gli Arena la famiglia era tutto. Non solo affetti e legami di sangue, ma anche la rete su cui poggiava il loro business a Librino e che ne garantiva il mantenimento. Ne è convinto il sostituto procuratore Francesco Testa della direzione distrettuale antimafia di Catania che ha coordinato l’indagine culminata nella cattura, martedì notte, di Giovanni Arena, latitante da 18 anni. Fino a oggi, per gli investigatori, il capo indiscusso del traffico di stupefacenti nella città satellite: un giro d’affari definito «vertiginoso» e che aveva il suo quartier generale nel cosiddetto palazzo di cemento. Ma adesso l’arresto di quello che viene considerato il boss di Librino potrebbe cambiare totalmente gli assetti, determinando l’ascesa dei rivali storici: la famiglia Nizza.
«Gli Arena sono un clan legato agli Sciuto-Tigna e quindi affiliati ai Cappello, ma sono sempre stati autonomi spiega Testa . La loro ricchezza poggiava sui traffici e soprattutto su una compagine familiare numerosa che, a sua volta, reclutava diversi giovani». Una forza che negli ultimi anni è venuta sempre meno, con l’arresto di quattro dei figli di Giovanni Arena e Loredana Agata Avitabile: Maurizio, Agatino Assunto, Antonino e Massimiliano, tutti catturati tra il 1999 e quest’estate. La stessa Avitabile è al momento detenuta a Lecce e il marito ricercato dal 1993, dopo l’operazione Orsa maggiore è stato adesso catturato. Restano liberi soltanto i due figli più piccoli e due figlie. Ma per il magistrato è improbabile che siano loro a prendere il comando dell’organizzazione. Agli Arena, spiega Testa, si sostituiranno i Nizza, altro clan autonomo ma affiliato ai Santapaola. «Nizza e Arena sono rivali storici continua il procuratore fino a poco tempo fa si sparavano con i kalashnikov dai balconi». Ma senza uccidersi. Perché, sottolinea, si tratta di guerre d’interessi e non per l’egemonia di un gruppo d’appartenenza: Santapaola per i Nizza, Cappello per gli Arena.
«La situazione criminale in città è ormai molto più fluida che in passato», spiega il magistrato. A un capo indiscusso con i suoi soldati si sono sostituiti diversi gruppi autonomi, riuniti in un cartello. «Un nome che è quasi una ragione sociale e che non corrisponde necessariamente alla vera dirigenza». Come nel caso dei Santapaola: ormai quasi un brand più che un sinonimo di forza. Il cambio di gestione di una piazza di spaccio importante come Librino potrebbe quindi non rivoluzionare gli equilibri dei due schieramenti. Dire che i Nizza si arricchiranno, per il magistrato non significa in automatico che cresceranno i Santapaola. Venuti meno i rapporti gerarchici, i gruppi gestiscono i propri business criminali in maniera autonoma. «Oggi essere affiliati spiega – significa solo non farsi la guerra e versare una parte dei guadagni nella cassa comune». Nessun ordine e nessuna limitazione.
«Gli esponenti di oggi sono ormai di terza o quarta generazione ricorda il sostituto procuratore Non gliene importa nulla delle faide degli anni ’80». I racconti delle guerre di mafia non coinvolgono i nuovi rampolli della criminalità organizzata che, davanti ai possibili guadagni – soprattutto dal traffico di armi e droga – sembrano essere indifferenti anche alle storiche divisioni. Gli omicidi che lo scorso anno hanno insanguinato Catania e provincia non devono ingannare, ammonisce il magistrato: «Sono regolamenti di conti interni, per uno sgarro o un mancato pagamento». Non guerre tra fazioni. Gli ultimi episodi di questo tipo, ricorda Testa, risalgono al 2009 e sono firmati dai Carateddi. «Ma si tratta di frange violente», conclude. Gli altri, intanto, più che all’onore pensano all’economia.
[Foto di Kelina]
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