Mafia, il capitolo Catania nella relazione Dna 2016 «Confermato storico scontro Santapaola-Cappello»

La storica contrapposizione tra la famiglia Santapaola, legata a Cosa nostra, e quella dei Cappello, in una cornice «ad alta densità mafiosa» in cui i rimanenti clan stringono alleanze con l’uno o con l’altro polo, sulla base dei mutevoli interessi del momento. I contatti tra la criminalità organizzata etnea e la ‘ndrangheta per le forniture di droga. Ancora: i rapporti di forza – sostanzialmente immutati – tra le varie cosche e le attività che ne consolidano la forza economica. Sono i contenuti principali del capitolo Catania che si può ricavare dalla relazione annuale 2016 della Direzione nazionale antimafia, pubblicata ieri dopo una conferenza stampa in Senato. Un documento d’insieme asciutto, in alcune sue parti necessariamente sintetico, che va letto e compreso sulla scorta di una fondamentale avvertenza preliminare: le 965 pagine del report riguardano un arco temporale preciso, tra l’1 luglio 2015 e il 30 giugno 2016, e non tengono conto degli sviluppi successivi, in particolare sul piano giudiziario. 

Uno dei «momenti più significativi» nel contrasto a Cosa nostra catanese è l’arresto, avvenuto nell’aprile 2016 nell’ambito dell’operazione Kronos, di Francesco Santapaola, figlio di Salvatore detto Turi Colluccio, quest’ultimo cugino di Nitto Santapaola. Il 38enne era considerato fino ad allora il reggente della famiglia. La stessa retata di 14 mesi fa ha fatto scattare le manette anche per Salvatore Seminara, 69 anni, ritenuto figura di vertice della famiglia di Caltagirone, e ha inoltre dimostrato gli stretti legami dei santapaoliani catanesi con il clan Nardo di Lentini

La struttura operativa dei Santapaola-Ercolano non sembra aver subito mutamenti di rilievo: nell’area del capoluogo è articolata in squadre che prendono il nome dal quartiere di riferimento. E che controllano le rispettive piazze di spaccio, uno degli affari più redditizi. Per loro – e per quasi tutte le famiglie mafiose della zona – un secondo filone di lucro è rappresentato dagli enormi investimenti in attività apparentemente lecite, con il conseguente inquinamento dei ampi settori dell’economia locale. Nell’elenco dei procedimenti in corso che attengono al distretto di Catania, si fa menzione di quello intentato contro Andrea Nizza – ancora latitante nell’arco temporale considerato ma catturato il 15 gennaio 2017 a Viagrande31 anni, introvabile dal 2014 quando era stato condannato in primo grado a sei anni e otto mesi nel processo scaturito dall’inchiesta Fiori bianchi

Non che la cosca Cappello-Carateddi sia rimasta a guardare: la relazione li ritiene dotati di «una particolare capacità di infiltrazione, oltre che nel settore economico, anche negli ambienti politico-amministrativi». Nel febbraio 2015 sono stati colpiti da 37 provvedimenti cautelari, frutto di due distinte attività d’indagine della squadra mobile nel periodo 2011-2013, che ne attestano la piena operatività nei rioni di San Cristoforo, Monte Po e San Berillo nuovo, oltre che a Belpasso

Fuori dal dualismo storico, un approfondimento a parte merita il clan Laudani che, in posizione autonoma rispetto a Cosa nostra e ramificato in tutta la provincia, ha uno dei suoi core business – oltre che nella droga e nelle estorsioni – nelle intestazioni fittizie di beni. La collaborazione intrapresa dalla direzione distrettuale etnea con il pentito Giuseppe Laudani, 34 anni, nipote del capostipite classe 1926 Sebastiano, ha contribuito a far lievitare il materiale d’indagine che ha preso corpo nell’operazione I vicerè, 109 provvedimenti restrittivi eseguiti nel febbraio 2016 che hanno colpito testa, corpo e braccia di un sodalizio mafioso tra i più pericolosi nel Catanese, contraddistinto dalla ferocia dei sui vertici, dotato di «saldi legami con la ‘ndrangheta reggina» e in prima fila «nelle più sanguinose faide degli anni ’80 e ’90». Il pentimento di Pippo, primo e unico membro di sangue a rinnegare il proprio passato, ha permesso agli inquirenti di «svelare i retroscena di quasi 20 anni di vicende mafiose», a Catania e nell’hinterland. 

Colpi piuttosto duri sono stati assestati anche contro i Cursoti milanesi. Tra questi c’è l’operazione del gennaio 2015 – fuori dal periodo considerato dalla relazione – che ha disposto 27 ordinanze e 16 arresti. Sono considerati gestori delle piazze di spaccio di corso indipendenza, di via Angelo custode e Picanello. Nel capitolo dedicato al narcotraffico viene poi ricordata l’indagine Crimine 3, che aveva evidenziato i collegamenti tra esponenti di Cosa nostra catanese e un cartello di clan ‘ndranghetisti come i Jerinò di Gioiosa Marea, gli Aquino di Marina di Gioiosa Jonica, i Bruzzese di Grotteria, i Pesce di Rosarno e i Commisso di Siderno, con il tentativo dei siciliani di inserirsi nel traffico di cocaina. Una circostanza che – secondo la Dna – confermerebbe il primato dei calabresi nell’import della polvere bianca dal Sudamerica. 

Marco Militello

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