Mafia, i timori per l’ipotesi di pentimento di Fabrizio Vinci «Speriamo lo scarcerino, non si sa mai che può succedere»

Tanto fidato fuori, quanto pericoloso dentro. A fare da confine, la soglia del carcere. Sarebbe stata questa l’opinione che Matteo Tamburello arrestato martedì durante il blitz che i carabinieri del Ros hanno effettuato in provincia di Trapani, nell’ambito delle più ampie ricerche per catturare Matteo Messina Denaro – avrebbe avuto di Fabrizio Vinci, imprenditore edile fermato lo scorso anno con l’accusa di avere legami con i vertici di Cosa nostra trapanese.

Il rapporto tra Vinci e Tamburello – dai magistrati ritenuto uno dei tanti fiancheggiatori del superlatitante, nonché in passato reggente della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo, così come il padre Salvatore – è ritratto nel decreto con cui i magistrati della Dda di Palermo, Gianluca De Leo e Pierangelo Padova, hanno disposto il fermo del 56enne, ritenendo concreta la sua possibilità di fuga. Nella ricostruzione degli inquirenti, basata su numerose intercettazioni, emerge una volta di più il timore che gli affiliati ai clan mafiosi hanno nei confronti di chi decide di iniziare a collaborare con la giustizia. Paura che Tamburello non esita a manifestare in più di un’occasione, dopo il 10 maggio 2017, giorno in cui Vinci viene arrestato con l’accusa di associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta Visir.

«Speriamo che esce subito», dice Tamburello al figlio del titolare della cava di calcarenite, in cui l’uomo aveva iniziato a lavorare, poco dopo essere stato scarcerato a fine novembre 2015. Un’attività che per gli inquirenti si sarebbe rilevata più di un semplice impiego: Tamburello, infatti, sarebbe divenuto uno dei responsabili della società, gestendo gli operai e i rapporti con clienti. Tra questi, anche l’impresa di Vinci. La presenza di Tamburello nella cava avrebbe ammorbidito anche le pretese dello stesso imprenditore, in merito al recupero di un credito di centomila euro vantato nei confronti del titolare del sito.

D’altra parte, che Vinci fosse ben disposto nei confronti degli esponenti mafiosi ne sono convinti i magistrati. L’uomo, nel processo seguito al suo arresto, è accusato di avere avuto rapporti con figure come Vito Gondola, il capomafia mazarese deceduto l’anno scorso. Una vicinanza ai boss che si sarebbe manifestata con elargizioni di denaro alle famiglie degli arrestati, camuffate in alcuni casi sotto forma di acquisti a prezzi maggiorati se non addirittura fittizi, con i beni restituiti gratuitamente al momento della scarcerazione. A beneficiarne sarebbe stato lo stesso Tamburello che, saputa la notizia dell’arresto, è consapevole di dovere riservare lo stesso trattamento ai familiari di Vinci. «Ora noialtri dobbiamo fare il colpo di mastro. Quello, quando esce, viene da me e mi dice: “in galera non ci sei stato pure tu?”», spiega, dando indicazioni su come fare pervenire settimanalmente delle somme alla moglie dell’imprenditore. 

A spingere Tamburello a prendersi cura di Vinci non sarebbe stato però soltanto un presunto senso dell’onore, ma anche l’interesse a mantenere sereni i rapporti. Nella consapevolezza che la permanenza in cella avrebbe potuto fare cedere Vinci, spingendolo a collaborare con la giustizia. «Speriamo che a questo lo buttano fuori, così ci liberiamo tutti; non si sa mai con lui dentro che cosa può succedere», confida in una circostanza. L’interesse di Tamburello è forte, e non mancano le ansie. Come quella di essere stato intercettato – «sono sicuro che ci sono intercettazioni, me l’hanno detto l’altro giorno», dice ai familiari facendo riferimento a presunte entrature – o quella di avere in Vinci un doppiogiochista: all’indomani dell’arresto, vedendo cosa riportano i giornali sull’operazione Visir, Tamburello sostiene che Vinci potrebbe avere fornito spunti agli inquirenti: «Secondo me parecchie cose che sono scritte là, gliele ha dette lui, al cento per cento».

Sospetti e inquietudini che vengono alimentati prima dalla notizia di trasferimento nel carcere di Palermo, e poi dall’ipotesi che l’imprenditore potesse essere destinatario di un sequestro di beni. Una misura che avrebbe potuto spingere Vinci a vuotare il sacco e, di fatto, rendere vane le precauzioni fin lì assunte da Tamburello. Alla sorella che gli chiede se avesse tolto la batteria del telefono in occasione di colloqui compromettenti, il 56enne ricorda come al giorno d’oggi le intercettazioni ambientali possano essere attivate anche tramite gli elettrodomestici. «L’altro giorno, non lo sapevo, alla televisione… Ci sono frigoriferi che hanno computer e cose, pure tramite il frigorifero di ultime generazioni possono intercettare», dice Tamburello, manifestando il timore di finire di nuovo dietro le sbarre. Nonché una buona capacità predittiva.

Simone Olivelli

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