Mafia, i legali di Enzo Santapaola insistono «Torna in carcere per il suo cognome»

Il ripristino dell’ordine di carcerazione per Vincenzo Santapaola nell’ambito dell’inchiesta Iblis «rappresenta l’ennesima dimostrazione di quanto risulti difficile, a volte impossibile, giudicare un uomo, invece di un cognome». Lo studio legale Strano Tagliareni che assiste il figlio primogenito del boss ergastolano Benedetto detto Nitto non ha dubbi: Enzuccio è vittima della sua parentela e dei preconcetti degli inquirenti: «Con amarezza – scrivono i difensori in una nota diffusa dalle agenzie – dobbiamo constatare che non basta condurre una vita onesta e svolgere una lecita attività lavorativa, come certificato da rapporti della polizia di Stato, per ottenere di essere giudicati in base alle proprie azioni, invece che in base a pregiudizi». Parole forti ma il concetto era già stato espresso dallo stesso Vincenzo Santapaola, direttamente dalle pagine del quotidiano locale La Sicilia poco più di tre anni fa.

Era l’ottobre del 2008 e Enzuccio si trovava al 41 bis, un regime carcerario duro che non prevede la possibilità di scrivere lettere ai giornali. Eppure questo avvenne, suscitando l’indignazione di molti. All’epoca i redattori di CTzen erano in forze a Step1, magazine universitario della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere. Partendo da un intervento pubblico del nostro tutor e prof di storia contemporanea Luciano Granozzi realizzammo un dossier sul caso, intervistando esperti e addetti ai lavori: tutti concordi nel sottolineare l’eccezionalità (e l’esecrabilità) dell’evento, soprattutto dal punto di vista della deontologia giornalistica.

Ora Strano e Tagliareni tornano ad agitare lo spettro di una persona perbene perseguitata dalla giustizia per via del suo cognome: «Abbiamo letto il provvedimento del Tribunale della libertࠖ si legge nella dichiarazione – e abbiamo notato che si sono modificate circostanze storiche certe, pur di sostenere una tesi fondata sul nulla. Basti pensare che si è sostenuto che il nostro assistito riceveva consegna di proventi dell’associazione e di essi viveva, quando, invece, in quel periodo egli si trovava ristretto in carcere a Milano in regime di 41bis». Regime, che, evidentemente, Enzu u nicu non meritava. Così come secondo i suoi legali non merita questo nuovo arresto al quale il loro assistito era sfuggito il 3 novembre 2010 dandosi alla latitanza. Durante quel periodo i legali avevano chiesto e ottenuto dal tribunale del riesame l’annullamento della richiesta di custodia cautelare. Ma la Procura catanese – ricorsa in Cassazione – ha chiesto il rinvio della decisione ad un collegio diverso il quale ieri ha dato l’autorizzazione all’arresto eseguito dai Ros dei Carabinieri.

Per uno strano caso, in coincidenza dell’arresto del primogenito di Nitto Santapaola, un altro figlio di boss, Giuseppe Salvatore Riina, rampollo di Totò, ha ottenuto il via libera a trasferirsi a Padova in soggiorno obbligato per lavorare in una onlus che aiuta gli emarginati con grave disappunto della Lega. Quando uscì dal carcere lo rispedirono a Corleone e ci fu una sollevazione contro quel cittadino sgradito. In quell’occasione Riina junior dichiarò «Io ho pagato e voglio lavorare». Vincenzo Santapaola, invece, vuole lavorare ma non vuole pagare, proclamandosi vittima della giustizia. Ora speriamo solo che i suoi accorati appelli non trovino di nuovo spazio sulle colonne di qualche giornale.

[Foto di Estrelas]

Redazione

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