«Lei è un bugiardo che non ha neanche il coraggio di ammettere di avere ordinato questo omicidio. Non speri, signor Graviano, nelle sue relazioni con politici – massoni deviati di sfuggire alla condanna dell’ergastolo inflittagli dal tribunale. Lei, al pari del detenuto Riina, resterà detenuto in carcere, ma tutti coloro che hanno amato e conosciuto padre Puglisi pregheranno affinché lei si converta a Dio e trovi il coraggio di collaborare pienamente con la magistratura». È uno dei passaggi della lettera indirizzata al boss Giuseppe Graviano e scritta a quattro mani dal testimone di giustizia Giuseppe Carini e da Gregorio Porcaro, referente regionale di Libera Sicilia.
Entrambi erano amici di don Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio barbaramente ucciso su ordine di Graviano. Porcaro era stato anche il suo vice parroco a Brancaccio. La lettera è una risposta agli insulti emersi dalle intercettazioni depositate al processo Stato-mafia. «Abbiamo letto dei suoi insulti nei confronti di don Pino Puglisi barbaramente ucciso, per la sua fedeltà a Cristo e all’Uomo, da un commando di killer in nome e per suo conto quella tragica sera di 24 anni fa – prosegue la lettera – Don Puglisi non insultava, tanto meno offendeva nessuno. Amava la gente di Brancaccio e il suo amore era fedelmente ricambiato. Noi non la insulteremo, non pronunceremo alcuna parola offensiva contro di lei, nessuna calunnia. Pregheremo, invece, per lei e la sua famiglia perché questo è ciò che abbiamo imparato da 3P: annunciare la Parola del Padre Nostro anche e soprattutto, a coloro che ti odiano. E se durante le sue notti in cella dovesse sentirsi un uomo solo, sappia che lì accanto a lei troverà don Puglisi, pronto ad ascoltarla»..
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