«Fuori il consigliere innamorato dei boss». Per convincere Lillo Giambalvo a dimettersi dal consiglio comunale di Castelvetrano è stata lanciata anche una raccolta firme online. L’iniziativa parte da Libero Futuro, la rete delle associazioni antiracket Libero Grassi. Giambalvo è stato assolto lo scorso dicembre dall’accusa di concorso esterno alla mafia. Intercettato nell’operazione Eden 2, diceva a proposito del capo di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro: «Se io dovessi rischiare 30 anni di galera per nasconderlo, rischierei. La verità ti dico. Ci fossero gli sbirri qua? E dovessi rischiare a mettermelo in macchina e farlo scappare, io rischierei. Perché io ci tengo a queste cose». «Parole che potrebbero sembrare una bravata ma sono pesanti come le pietre e a cui si dovrebbe rispondere con gesti altrettanto forti», affermano Claudio Fava, vicepresidente della commissione antimafia nazionale, che andrà a Castelvetrano.
Per dire cosa?
Perché nei luoghi bisogna anche starci, non solo pontificare da lontano. La mia sensazione è che la provincia di Trapani continui a essere particolarmente esposta, non solo per la latitanza di Messina Denaro, e nemmeno per la vicenda del consigliere di Castelvetrano. Basta vedere come i giornalisti che fanno bene il loro lavoro sono messi sotto tiro e trattati male. Rino Giacalone è stato querelato dai familiari di un boss. Adesso anche tre pagine comprate da un anonimo su un settimanale (Social ndr) per attaccare lo stesso Giacalone e il giornalista Marco Bova.
Qual era il messaggio?
Un settimanale locale ha pubblicato tre pagine anonime, senza firme, con scarse informazioni e pressapochismo per criticare alcuni articoli. Non possiamo fingere che questi atti nei confronti di giornalisti esposti, non finiscano con avere conseguenze personali sulla fatica di fare questo mestiere. Il problema non è il contenuto, ma la forma. È imbarazzante che questo venga fatto su pagine acquistate come pubblicità, come se avesse la funzione di intimidire più che contraddire. Se si vuole polemizzare si mettono nome, cognome e faccia. Altrimenti non è più polemica giornalistica.
A Trapani Cosa Nostra sembra continuare ad avere un peso specifico, un controllo del territorio diverso da quello del resto della Sicilia? È anche colpa della società civile o dello stesso giornalismo che fatica a raccontare questo territorio?
I giornalisti che raccontano ci sono, esiste una buona tradizione giornalistica sulla scia del lavoro di Mauro Rostagno. Così come vedo i semi di un cambiamento possibile: basta guardare al lavoro eccellente che porta avanti Libera. Ma la società civile deve essere fatta anche dalla politica, dagli insegnanti, nel lavoro quotidiano. È vero forse che l’attenzione generale si concentra più su Palermo e Catania, meno sulle aree di impunità nelle province.
A breve riprenderà il processo d’appello al senatore di Forza Italia Antonino D’Alì, ex sottosegretario all’Interno, accusato di concorso esterno alla mafia e assolto in primo grado. Cosa rappresenta questo momento per Trapani?
Il senatore D’Alì rappresenta una famiglia che ha un grande peso politico ed economico in questa provincia. Il fatto che la Procura abbia voluto questo processo testimonia la determinazione e l’attenzione con cui guarda alle possibili aree di contiguità tra mafia e politica. Significa che la magistratura a Trapani non si rassegna a guardare il corso delle cose senza cercare di intervenire. A prescindere da come finirà, questo processo deve rappresentare un momento di riflessione collettiva per la città. Parliamo di un signore che ha avuto incarichi importanti anche al Viminale. Se le accuse venissero confermate, andrebbe rivisto un pezzo di storia d’Italia.
A proposito di momenti di riflessione collettiva per una città, da questo punto di vista vede analogie tra il processo D’Alì e l’indagine della procura di Catania sull’editore Mario Ciancio, finita con un’archiviazione?
Non mi pare che a Catania ci sia stata una grande riflessione, la politica ha assistito come se quell’indagine non riguardasse la storia della città. Non mi è sembrato che ci siano stati tentativi di riscrivere la storia, il sindaco Enzo Bianco non si è posto il problema di rivedere la quantità e la qualità dei suoi rapporti con Ciancio. È come se questa indagine non ci fosse mai stata, eppure i fatti che sono stati raccontati, al di là della valutazione penale, restano di una gravità inaudita sul piano civile, etico e sociale. A me cittadino poco importa se Ciancio non sia stato considerato imputabile del reato di concorso esterno, mi importa invece come Ciancio abbia messo a disposizione di Cosa Nostra il proprio potere editoriale, nessuno ad esempio ha negato il suo incontro con Ercolano. Le vicende messe in fila dalla Procura – dal ritrovamento della refurtiva della rapina nella sua villa fino ai necrologi, passando per le decine di milioni di euro sottratti al fisco e portati all’estero – sono fatti. Abbiamo assistito all’abdicazione della politica, che si è nascosta dietro la foglia di fico della sentenza, elevata a unica verità.
Prima il caso di alcuni consiglieri di Catania citati dalla commissione regionale antimafia per rapporti con Cosa Nostra, poi quello del consigliere di Castelvetrano. Si dice che la politica dovrebbe controllare, ma spesso non lo fa. Come si supera questo problema? Servono nuove leggi per inchiodare i partiti alle proprie responsabilità?
I paletti ci sono già per legge. E poi ci sono altri paletti che si sono auto-imposti i partiti, solo che spesso vengono elegantemente presi a calci. Per le ultime elezioni regionali, con la commissione nazionale antimafia abbiamo portato avanti un lavoro che semplicisticamente è stato presentato come l’elenco degli impresentabili. Ma in realtà era la lista di tutti coloro che erano nelle condizioni di non candidabilità, perché non rispettavano le regole che gli stessi partiti avevano scritto. Molti erano al di sotto dal codice etico che si erano dati gli stessi partiti.
La commissione farà lo stesso lavoro per la prossima tornata elettorale?
Sì, non appena avremo le liste per le elezioni amministrative, porteremo avanti lo stesso lavoro perlomeno sui capoluoghi di regione e di provincia.
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