Da un lato una vecchia condanna in Appello per omicidio. Dall’altro la tenerezza di chiamare «vita» il suo braccio destro, come gli innamorati. Sono le due facce di Luca Marino: nel 2001 giovane rampante, e decisamente spietato, della malavita catanese; ora accusato di essere il vertice del gruppo di Cosa nostra del quartiere di San Giovanni Galermo. Nelle carte dell’inchiesta Chaos viene tratteggiata una storia fatta di presunte estorsioni e crediti da recuperare. «Aveva stretti rapporti con Rosario Lombardo e Antonio Tomaselli – si legge nell’ordinanza che ha portato agli arresti del blitz di sabato scorso – perpetrava rappresaglie, partecipava a riunioni di vertice, proteggeva i commercianti del suo quartiere, teneva la cassa delle estorsioni e disponeva di armi».
Oggetto delle estorsioni di Marino oltre a cantieri e imprese anche piccoli commercianti, come un barbiere di Mascalucia. L’incarico per taglieggiarlo sarebbe stato dato tramite un sms: «Andare dal barbiere per le 250». Il passo da forbici e pettini ai cantieri edili è breve, e nel marzo 2017 Marino avrebbe individuato un nuovo obiettivo in un lavoro per la realizzazione della banda larga proprio a San Giovanni Galermo. Le operazioni da compiere, anche in questo caso, venivano fornite con i messaggi di testo. «Se potete dovete tagliare i fili della fibra ottica che escono dalla strada».
Se potete dovete tagliare i fili della fibra ottica che escono dalla strada
Nelle carte c’è anche un tentativo di recupero crediti ai danni di un Tutto mille di via della Concordia. Grazie a uno scambio di sms emerge che Marino avrebbe ricevuto l’incarico di riprendersi 700 euro per conto dell’imprenditore Onofrio Sicurella. La mansione però sarebbe passata prima a Carmelo Fallica e poi a un terzo uomo non identificato: «Gli ho mandato a uno e ora mi sta facendo sapere», scrivevano a Marino, che a sua volta rispondeva: «Te li fai dare questi soldi e me li sali che li do, per favore». Non è chiaro se il recupero sia poi andato a buon fine, ma gli inquirenti mettono nero su bianco i contatti, per organizzare un incontro, tra l’imprenditore e il presunto referente dei Santapaola.
Tra via Ventimiglia e via Pantano si sarebbe consumata invece la tentata estorsione al Centro ortopedico siciliano. Gestito di fatto dal palagonese Maurizio Auteri, cognato dell’ex consigliere provinciale, condannato inchiesta Iblis, Antonino Sangiorgi. «L’ortopedico», così come veniva etichettata la vittima, è sposato con sorella della moglie del politico centrista. Un legame che però, secondo gli investigatori, non lo avrebbe tenuto fuori dai pagamenti. «Consapevole del potere intimidatorio degli associati – si legge – prometteva di versare agli indagati 1500 euro al mese per non subire intimidazioni».
Gli affari dei Santapaola si sarebbero allargati anche fuori dal territorio del capoluogo etneo. A Raddusa, piccolo angolo del Calatino, sarebbero finiti nel mirino di Marino e soci i vertici dell’istituto di vigilanza La Sicurezza: Giuseppe Sberna e Angela Paterniti. Il titolare, imprenditore di lungo corso con appalti negli ospedali catanesi e nei parchi eolici e imparentato con un affiliato di spicco del territorio, avrebbe corrisposto circa 30mila euro ogni anno, suddivisi in tre rate. Uno spartito svelato dal collaboratore di giustizia Paolo Mirabile ma anche dall’inchiesta Kronos. Per gli inquirenti l’istituto da sempre è stato al centro di forti contrasti tra i clan ma anche all’interno della stessa famiglia Santapaola. In questo contesto sarebbe maturato l’omicidio di Turi Cutrona, colpevole di avere riscosso una somma da La Sicurezza a titolo esclusivo. Secondo l’inchiesta dei giorni scorsi, Marino avrebbe cercato di serrare le fila estromettendo dall’estorsione la famiglia del Calatino.
Gli ho mandato a uno e ora mi sta facendo sapere
Da Raddusa a Maniace. Dove nell’orbita di Cosa nostra è finito un imprenditore con cantieri a Centuripe. Il perno e la mente dell’organizzazione sarebbe sempre Marino. L’impresario, specializzato nel movimento terra, nel gennaio del 2017 denuncia due persone che lo avevano costretto a mettere a disposizione alcuni mezzi di lavoro. In particolare un escavatore, un camion e un carrellone, prelevati dal cantiere nella notte fra il 5 e il 6 gennaio per una spaccata ai danni di un bancomat. Durante quel colpo, però, i due vengono arrestati. Marino e soci si sarebbero occupati pure della Edilcommercio, per costringere il titolare a corrispondere regolarmente all’organizzazione somme di denaro di importo variabile – l’ultima consegna monitorata pari a duemila euro. I conti però qualche volta non tornano e, in una intercettazione è riportata la conversazione fra Arturo Mirenda, finito in manette nell’operazione Dokss, e l’imprenditore. Quest’ultimo fa presente che per quell’anno «ne avrebbe mandati solo 500 perché avanzava 700 euro».
Sembra una storia di altri tempi quella del tentativo di estorsione ai danni di tre uomini. È settembre 2016 quando si sarebbe attivato il presunto reggente del clan Nardo Francesco Caltabiano, insieme ad altre persone. Secondo la ricostruzione, il gruppo criminale avrebbe sequestrato sotto la minaccia di armi le tre vittime e, dopo averle costrette a salire sui propri furgoni, le avrebbe condotte a volto coperto in una zona rurale nei pressi di Francofonte, in provincia di Siracusa. Lì sarebbe avvenuto il pestaggio, durato un paio d’ore, e le conseguenti minacce di morte. Il motivo? Riscuotere una somma di oltre 50mila euro, ovvero l’importo ricavato dalla vendita di un piccolo vigneto. C’è poi il tentativo di estorcere cinquemila euro dall’imprenditore titolare dell’azienda Sac Fruit import-export, con sede a Grammichele. Vittima anche di un attentato incendiario a un suo capannone.
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