C’è anche l’ex dirigente del Calcio Catania Alfio Luciano Massimino, imprenditore, nipote del più famoso patron Angelo, tra gli arrestati nel corso di una lunga operazione dei carabinieri, denominata Town hall, municipio, e partita nel 2011, che ha contribuito allo scioglimento per mafia, lo scorso marzo, del comune jonico di Mascali. Dieci i provvedimenti cautelari, notificati stamattina nei confronti anche dell’ex sindaco del piccolo centro, Filippo Monforte, e dell’ex presidente del consiglio comunale Biagio Susinni. A collegare i vertici dell’amministrazione mascalese con Cosa nostra, secondo gli inquirenti, è Alfio Romeo, ritenuto esponente nel territorio del clan Laudani. Le accuse sono a vario titolo di corruzione, sottrazione fraudolenta al pagamento d’imposta, millantato credito continuato. Per i due politici e l’affiliato alla consorteria catanese è prevista l’aggravante mafiosa.
«Già c’era stato lo scioglimento per mafia del Comune da parte del prefetto – racconta il
procuratore capo Giovanni Salvi – E quindi le indagini sulle infiltrazioni mafiose erano emerse nella gestione della raccolta dei rifiuti da parte della Aimeri. Sulla base di quel materiale abbiamo potuto individuare altri elementi che hanno completato il quadro. Gli illeciti – prosegue Salvi – non erano relativi solo agli abusi nella gestione della pubblica cosa, ma prevedeva anche l’inserimento del clan Laudani». Le indagini sono partite nel 2011 e sin da subito gli inquirenti hanno individuato in Romeo il referente criminale dell’ex sindaco e del presidente del consiglio comunale. Soprattutto con quest’ultimo erano frequenti gli incontri in un albergo-ristorante di proprietà del presunto affiliato al clan catanese, il Liperus di Piedimonte Etneo.
Nel corso dei colloqui, registrati dai militari della compagnia dei carabinieri di Giarre, sono state ideate e autorizzate varianti al piano regolatore mascalese per favorire gli affari di alcuni imprenditori locali e del capoluogo etneo. Tra questi, appunto, Alfio Massimino, «che nei primi anni ’90 voleva realizzare un parco residenziale (chiamato Prato del mare, ndr) a Mascali – spiega il capitano Giacomo Moschella, a capo della compagnia giarrese – Susinni e Monforte cambiarono la destinazione d’uso di un terreno da agricolo a edificabile. Massimino in cambio promise la proprietà di alcuni immobili come tangente. Un’operazione immobiliare conclusa nel 2011», chiarisce il militare.
«I piani regolatori venivano modificati e piegati per gli interessi criminali», afferma Alessandro Casarsa, comandante provinciale dell’arma. Un sistema attuato in almeno altri due casi da lui citati, ossia l’apertura di una farmacia nel territorio comunale senza tenere conto delle legislazioni in materia e l’ampliamento della cubatura dello stesso albergo di Alfio Romeo in cambio di cinquemila euro. Un’operazione, quest’ultima, probabilmente condotta grazie alle conoscenze in ambito regionale di Susinni, affermano gli inquirenti, e per la quale non sono stati trovati i complici a livello amministrativo. La contropartita «a volte era denaro, altre la compartecipazione nelle attività», spiega Salvi. Al di là del risultato delle indagini, che coinvolgono nomi noti nel territorio, Salvi e Casarsa puntano l’attenzione «sull’importante sinergia tra carabinieri, Procura e prefettura» che ha portato allo scioglimento del Comune mascalese e agli arresti odierni.
La rete, oltre a Monforte, Susinni, Romeo e il già citato Massimino, coinvolgeva anche altri imprenditori o loro collaboratori: Vincenzo Barbatano, Vito Musumeci, Carmelo Nicodemo, Leonardo Patanè, Francesco Sorbello e Ugo Vasta. Oltre alle varianti immobiliari, l’ex presidente del consiglio comunale avrebbe promesso anche di esercitare pressioni sulla corte di Cassazione e sull’università di Messina, dove avrebbe garantito la possibilità di pilotare i test di accesso alle facoltà di Medicina e Farmacia e superare esami di Giurisprudenza. Un sistema proseguito anche dopo le sue dimissioni dalla carica comunale.
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