Pubblicamente combatteva il racket, ma in realtà ne avrebbe beneficiato. È questa l’accusa che la Dda di Palermo rivolge a Vincenzo Artale, imprenditore 64enne titolare di un’azienda del settore del calcestruzzo, arrestato stamattina insieme ad altre quattro persone, ritenute legate alla mafia di Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani. Oltre ad Artale, in manette sono finiti Mariano Saracino, 69enne ritenuto il capo della famiglia e già condannato per associazione mafiosa, Vito Turriciano, di 70 anni, Vito Badalucco, di 59 anni, e Martino Badalucco, di 35 anni.
A effettuare le indagini – iniziate nel 2013 – sono stati i carabinieri del Comando provinciale, in collaborazione con i militari della compagnia di Alcamo, da tempo impegnate nelle ricerche del super latitante Matteo Messina Denaro. L’inchiesta è partita in seguito a una serie di attentati a imprenditori edili e del movimento terra. Tali atti sarebbero stati compiuti per imporre alle imprese la fornitura di calcestruzzo, ponendo di fatto Artale in una posizione di monopolio ottenendo le maggiori forniture della zona sia in ambito privato che pubblico. Fino a ieri, Artale rientrava tra quegli imprenditori che dichiaravano di opporsi a Cosa Nostra. Tra i promotori di un’associazione antiracket e antiusura di Alcamo, il 64enne è soltanto l’ultimo caso di figure dell’antimafia che di recente sono state coinvolte in operazioni contro la criminalità organizzata.
Nell’ambito della stessa indagine sono stati notificati anche sei avvisi di garanzia con l’accusa, a vario titolo, di intestazione fittizia di beni e favoreggiamento personale con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare Cosa nostra. Inoltre è stata sequestrata l’azienda SP Carburanti srl, con sede legale a Castellammare del Golfo, che sarebbe stata intestata fittiziamente a prestanome, ma risulterebbe riconducibile alla famiglia mafiosa del Comune trapanese. Si è fatta luce su diverse estorsioni, in alcuni casi grazie alla collaborazione delle vittime. «Si tratta di imprenditori che lavoravano nel pubblico ma anche nel privato, taglieggiati da Cosa nostra – ha tenuto a evidenziare il colonnello Stefano Russo, comandante provinciale dei carabinieri di Trapani – Nel corso dell’inchiesta abbiamo rilevato la classica messa a posto e oltre all’imposizione del pizzo anche l’imposizione delle ditte per la fornitura di calcestruzzo. Gli imprenditori – ha aggiunto – hanno iniziato a collaborare e continuano a farlo. L’ultima denuncia l’abbiamo raccolta proprio in questi giorni».
La procuratrice aggiunta di Palermo, Teresa Principato, è quindi tornata sulla figura di Artale. «È un sistema che viene adottato – commenta – l’antimafia di facciata dietro la quale si nasconde poi la commissione di reati di notevole entità. Anche l’imprenditore Vincenzo Artale ha subito danneggiamenti e li ha denunciati. Risulta essere una vittima della mafia ma al contempo, questa ormai la contraddizione di Cosa nostra, era colluso e si giovava delle intimidazioni della mafia per ottenere commesse e lavori». Principato ha quindi voluto sottolineare il moltiplicarsi di casi simili. «Quest’anno – ha aggiunto – abbiamo assistito a delle situazioni sorprendenti, come il fatto di apparire intoccabili e, anzi, come dire, benefattori della società civile, e dall’altro di comportarsi esattamente come mafiosi».
Le indagini che hanno portato agli arresti di oggi, continuano. «Ci sono approfondimenti in corso su alcuni lavori che potrebbero essere stati eseguiti con calcestruzzo depotenziato – ha spiegato il procuratore capo Francesco Lo Voi -. Si tratta di opere pubbliche e private. Alcuni appalti già ultimati, altri da completare. Ma al momento non possiamo dire altro, perché si tratta di un filone di indagine ancora aperto e che si basa su indizi tutti da dimostrare».
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