Associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsioni aggravate dal metodo mafioso, favoreggiamento reale aggravato, trasferimento fraudolento di valori, sleale concorrenza aggravata dalle finalità mafiose, spaccio di sostanze stupefacenti e detenzione illecita di armi. Con queste accuse sono finite in manette 32 persone, destinatarie di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Palermo ed eseguita dai carabinieri del comando provinciale su delega della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo.
A essere colpito è il mandamento mafioso di Porta Nuova, uno dei più potenti nelle gerarchie della nuova Cosa nostra palermitana. L’inchiesta è la naturale prosecuzione dell’operazione Cupola 2.0, messa a segno lo scorso 4 dicembre, quando a finire dietro la sbarre sono stati diversi uomini d’onore, tra cui alcuni ritenuti titolari di ruoli di vertice all’interno dell’associazione mafiosa, impegnati nel tentativo di ricostituire la storica commissione provinciale di Cosa nostra. Tra gli arrestati di allora c’era Gregorio Di Giovanni, detto il reuccio, considerato il capo del mandamento di Porta Nuova, prendendo il posto di Paolo Calcagno dopo il suo arresto nell’ambito del blitz Panta Rei.
Nell’inchiesta culminata con l’operazione dei carabinieri di stanotte è emerso come il mandamento di Porta Nuova avrebbe organizzato le piazze di spaccio di sostanze stupefacenti, che continua a costituire la principale fonte di reddito di Cosa nostra. Sono state registrate, nel corso delle indagini, numerose richieste di acquisto di droga per uso personale anche da parte di una nutrita schiera di acquirenti costituita da imprenditori e liberi professionisti della città. Sono state, inoltre, individuate due diverse attività, una imprenditoriale e l’altra commerciale, ubicate a Palermo e riconducibili agli esponenti di vertice di Cosa nostra, ma intestate a prestanome e quindi sottoposte a sequestro preventivo. In questo caso è stato contestato il reato di illecita concorrenza aggravata dal metodo mafioso per avere imposto la fornitura di caffè a bar del territorio. Infine, sono stati individuati gli autori di cinque estorsioni consumate o tentate nei confronti di imprenditori e commercianti costretti al versamento del pizzo alla mafia.
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