Non solo estorsioni e traffico di droga, ma anche le mani su attività commerciali tra cui bar, tabaccherie, gioco d’azzardo e persino dei compro oro per riciclare il denaro sporco. L’operazione Delirio della Guardia di Finanza ha messo in luce gli svariati interessi economici di Cosa nostra e portato al sequestro preventivo per equivalente di beni per oltre sei milioni di euro: somme di denaro, conti correnti e immobili e 15 attività commerciali attive prevalentemente nel settore della somministrazione di alimenti e bevande e in quello dei giochi e delle scommesse. Tra i 28 arresti eseguiti dalle fiamme gialle sono finiti boss, gregari, prestanome e professionisti. Nella rete anche 19 indagati per i quali è stato disposto il divieto di dimora. Quattro, invece, gli arresti domiciliari: tra questi un noto penalista palermitano.
L’indagine ha consentito di delineare la mappa degli interessi dei clan, mettendo in luce il ruolo di Giuseppe Corona, boss emergente nei nuovi assetti di Cosa nostra orfana di Salvatore Riina, capace di riciclare fiumi di denaro, e considerato dagli inquirenti come il re del riciclaggio, in grado di ripulire denaro illegale e reinvestirlo in una attività lecita. Corona non è un insospettabile: condannato a 17 anni per un omicidio commesso, i Madonia gli avrebbero affidato il loro tesoro, tanti soldi da ripulire, e le scommesse dell’ippodromo, poi sequestrato per mafia. Bar, tabacchi, immobili, Corona negli anni ha fatto molti investimenti.
«Da parte di questo soggetto – ha spiegato il tenente colonnello Saverio Angiulli, comandante del terzo gruppo di sezione del nucleo speciale di polizia valutaria nel corso della conferenza stampa – sono state accertate condotte che consistono nell’esercizio di reati di estorsione e traffico di sostanze stupefacenti, per reperire somme necessarie ad arricchire le casse dei clan e utilizzare questi soldi per sostenere le famiglie dei pentiti, e figure apicali della criminalità organizzata». Per gli investigatori, Corona si occupava di individuare i soggetti prestanome a cui intestare ditte individuali o quote societarie. L’attività trae origine dall’approfondimento di alcune elementi emersi, nel 2014, nel corso dell’inchiesta Apocalisse.
È emerso così che Corona gestiva una pluralità di attività economiche – tra cui la Caffetteria Aurora, formalmente gestita dal cognato e sequestrata – intestate a prestanome, per eludere le misure di prevenzione patrimoniali e agevolare il reimpiego di beni e denaro di provenienza illecita da reinvestire anche nel gioco d’azzardo, uno dei canali principali utilizzato da Costa nostra per riciclare il denaro sporco. Tra i colletti bianchi arrestati, l’avvocato Nico Riccobene, finito ai domiciliari, mentre il divieto di dimora è scattato per l’imprenditore Giuseppe Tarantino, ex gestore del bar Alba di Mondello, regolarmente aperto, che dal 2016 è di proprietà della società A.P.R. s.r.l. che si dichiara assoluramente estranea con le precedenti gestioni «N PASTICCERIA ALBA s.r.l., BAR ALBA s.r.l. e PASTICCERIA ALBA s.r.l. a più riprese e in vari momenti titolari dei predetti esercizi in epoca antecedente all’aprile 2016, e oggi tutte in fallimento e in passato gestite appunto da Tarantino Giuseppe – scrive in una nota la società – E dunque A.P.R. s.r.l. non ha nulla a che vedere o spartire con le società che risulterebbero destinatarie di provvedimenti di sequestro eseguibili semmai in danno dei patrimoni acquisiti dalle pendenti procedure concorsuali. Tra A.P.R. s.r.l. e le predette società non sussiste dunque alcun legame e alcuna continuità economica o giuridica. Tanto precisato i Soci tutti e i Componenti del Consiglio di Amministrazione di A.P.R. s.r.l., escludono nella maniera più categorica di avere mai avuto a che fare con CORONA GIUSEPPE, di avere mai favorito il predetto o altri soggetti in attività di reimpiego di capitali di provenienza illecita e di avere mai avuto alcuna relazione economica con soggetti anche solo ipoteticamente riconducibili ad ambienti criminali o mafiosi».
Le indagini, inoltre, hanno consentito di individuare un altro filone utilizzato dalle famiglie mafiose per reinvestire il denaro di provenienza illecita: il commercio di metalli preziosi. In tale ambito, è stato individuato il ruolo di primaria importanza ricoperto da un altro esponente di Cosa nostra, Raffaele Favaloro – figlio di Marco, collaboratore di giustizia e personaggio abbastanza trasversale rispetto ad altri mandamenti mafiosi – il quale in un trentennio ha instaurato stretti legami personali e di affari con diversi mafiosi, in particolare con la famiglia Galatolo, fino a diventare un qualificato punto di riferimento di importanti esponenti criminali per la realizzazione di affari nel settore dei preziosi, nel contesto mafioso delle cosche di Resuttana e Borgo Vecchio.
«Attraverso una rete di compro oro Favaloro consentiva al clan di ripulire l’oro e persino pietre preziose provenienti da attività illecita – ha proseguito Angiulli – ai quali veniva ceduto per essere fuso e rimesso in circolazione». È stato inoltre accertato utilizzo del Monte dei pegni da parte del clan: «Alcuni esponenti inviano delle teste di legno per cedere degli oggetti preziosi, frutto di attività predatoria, che poi venivano rivenduti dallo stesso istituto, estraneo a tali attività, ad altri soggetti mandati dalla stessa criminalità organizzata che, a quel punto, appariva ‘di provenienza lecita’ accompagnato da una certificazione di legittimità».
«È stato compiuto un grande sforzo investigativo che testimonia importanza del conoscere e poi recidere quelli che sono i collegamenti della mafia rispetto al territorio – ha commentato il generale Giovanni Padula, comandante del nucleo polizia valutaria di Roma – Non si può permettere alla criminalità di controllare attività economiche, esigere il pizzo, reinvestire le somme che derivano da queste attività in altre attività gonfiando i serbatoi della mafia. Abbiamo ricostruito sotto questo profilo i flussi finanziari che testimoniano queste convergenze. Nonostante una precedente operazione avesse messo le mani a fondo su questa organizzazione criminale non ci siamo fermati – ha concluso – fino ad arrivare alle nuove leve, ai nuovi sistemi di investimento ripercorrendo a ritroso tutte le attività che sono state compiute».
È stato scarcerato qualche giorno fa, ma la procura di Termini Imerese fa ricorso. Il…
Il giudice per l'udienza preliminare di Palermo Paolo Magro ha condannato a 11 anni e…
La diga Ancipa è sempre più vuota. Arriva la conferma definitiva che dal 15 novembre…
I carabinieri di Ribera, in provincia di Agrigento, indagano per risalire agli autori di una…
Si aprirà giovedì 7 novembre e si concluderà il giorno dopo, presso il salone Dusmet…
Due mezzi pesanti si sono scontrati sull'autostrada Palermo-Catania. A causa dell'impatto nelle corsie sono finiti quintali…