Dalle 3.30 della notte un elicottero sorvola Paternò. È uno dei mezzi usati durante l’operazione dei carabinieri contro il clan Assinnata, ritenuto il braccio della famiglia catanese dei Santapaola. I militari hanno eseguito 14 arresti a carico di altrettanti presunti esponenti della cosca mafiosa paternese, e tutti residenti nella cittadina del Catanese. Sono accusati, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione e traffico di droga. Tra gli arrestati figura anche Salvatore Assinnata, il padre del ragazzo al quale il 3 dicembre 2015, durante i festeggiamenti di Santa Barbara, alcuni portatori dei cerei votivi fecero l’inchino reverenziale. Un episodio che destò notevole scalpore anche a livello nazionale.
La notifica di sette dei 14 provvedimenti restrittivi è avvenuta in carcere. Rispettivamente per: Salvatore Assinnata (ritenuto a capo della famiglia mafiosa), Andrea e Angelo Di Fazio, Giuseppe Fioretto, Giuseppe Fusto, Andrea Giacoponello, Giuseppe Parenti. Molti mezzi dei carabinieri sono stati utilizzati, a sirene spiegate, per eseguire il resto degli ordini emessi a carico di persone in libertà, tra queste anche una donna: Benedetto e Daniele Beato, Mario Leonardi, Salvatore Mannino, Rosario Oliveri, Maria Cinzia Pellegriti, Luca Vespucci.
Il blitz disposto dalla direzione distrettuale antimafia, scattato alle prime luci dell’alba e che ha impegnato cento carabinieri, è stato denominato The end (La fine, ndr). Le indagini che lo hanno preceduto coprono un arco temporale che va dal 2012 a settembre 2013. Sono scattate a seguito della denuncia di un imprenditore edile del Palermitano, che sarebbe stato minacciato per convincerlo a cedere alle richieste estorsive del clan. Di fronte all’ingresso di un cantiere della sua ditta, a marzo 2012, gli erano stati recapitati una tanica piena di benzina con legato un accendino. L’autore dell’episodio è stato poi identificato dai militari in Fioretto.
Le indagini hanno permesso di ricostruire il passato e il presente degli affari criminali degli Assinnata, legati alla famiglia mafiosa catanese Santapaola. Nato all’interno della cosca paternese facente capo a Giuseppe Alleruzzo, il locale clan mafioso – come rivelato dall’indagine Orsa Maggiore – è stato riorganizzato dal 63enne Domenico Assinnata insieme al figlio 43enne Salvatore. Al figlio di quest’ultimo, in occasione dei festeggiamenti per la patrona di Paternò Santa Barbara, i portatori dei cerei votivi dedicarono un inchino reverenziale sulle note della colonna sonora del film Il Padrino, suonate dalla banda musicale che li accompagnava nel giro tra le abitazioni della cittadina catanese. Un gesto che aveva avuto rilievo nazionale e suscitato l’indignazione della cittadinanza.
L’attività degli investigatori ha fatto emergere la struttura verticistico-piramidale, il modo di operare del clan Assinnata, nonché i ruoli dei singoli esponenti comprese le posizioni apicali, il giro di affari illegali provenienti da estorsioni ai danni di imprenditori edili e di commercianti. Secondo gli inquirenti a gestire la cassa era Salvatore Assinnata che si occupava di reinvestire i guadagni nell’acquisto di droga, stringendo accordi con le altre famiglie mafiose di Catania. A collaborare con lui c’erano sette uomini ritenuti suoi fedelissimi. Messina, considerato lo «storico braccio destro». Pietro Puglisi, che aveva l’incarico di custodire l’arsenale del clan, sequestrato nel maggio del 2013. Giacoponello, il cognato. Benedetto Beato, Parenti, Vespucci e il già citato Fioretto, col compito di gestire le attività illecite.
Tutti loro, svolgevano mansioni da gregari: recapitare messaggi, recuperare denaro, consegnare e spacciare droga. Proprio riguardo allo smercio degli stupefacenti, le indagini hanno rivelato si concentrasse in piazza Purgatorio, a Paternò. L’attività sarebbe stata gestita da Daniele Beato, Fusto, Leonardi e Oliveri. Mentre a essere incaricati di servire i clienti erano Pellegriti – la sola donna coinvolta nell’operazione – e i fratelli Di Fazio. Per quanto attiene invece alle estorsioni, le carte degli inquirenti segnalano metodi «di recupero crediti, particolarmente efferati e sfacciati». Per esempio quelli utilizzati a danno di un’ottica paternese, dove gli appartenenti al clan si recavano a prendere costosi occhiali senza passare poi dalla cassa a pagare. Tutti i membri del clan Assinnata erano inoltre tenuti a versare i proventi delle attività illecite in una cassa comune, che serviva per gli stipendi degli affiliati e i costi del mantenimento dei familiari dei detenuti.
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