A Roma Lega e Movimento cinque stelle sono sul punto di scoppiare, dopo più di un anno il governo del cambiamento sembra destinato ad ammainare le vele, spaccato dal Tav e da qualche distanza di troppo tra le due fazioni. E allora il Pd? Il partito democratico cerca di convincere i pentastellati a mettere da parte l’ascia di guerra e tentare il cammino del dialogo. Ma se quella che al momento sembra essere una possibilità intrigane per i più a livello nazionale, come la mettiamo sul piano locale, spesso territorio di battaglia tra grillini e dem?
A Palermo la situazione è piuttosto complicata, complici soprattutto le alterne fortune del gruppo consiliare a cinque stelle, che da fronte più numeroso di sala delle Lapidi, dove poteva fare affidamento su sei unità, ha prima perso Igor Gelarda, poi i due epurati Giulia Argiroffi e Ugo Forello. Quest’ultimo in particolare è sempre stato anima critica all’interno del grillini nei confronti delle politiche a trazione leghista del governo nazionale. «Forello – dice Toni Randazzo, consigliere pentastellato – è sempre stato uno tra quelli che non ha mai visto di buon occhio questo contratto. Non lo ho mai nascosto e da questo punto di vista non era un problema per il M5s, le frizioni erano legate ad altro, all’impossibilità di portare avanti un lavoro corale. Ma lui su Roma non ne hai mai fatto un mistero, è stato sempre duro e chiaro».
A livello romano però, secondo Randazzo «non penso ci sarà alcuna apertura al Partito Democratico. Da questo questo punto di vista tocca a Mattarella indicare la strada da seguire. Certo, Beppe Grillo è stato abbastanza chiaro: tornare al voto consegnando il Paese a questa destra non è possibile. E probabilmente non si può essere rigidi come qualche anno fa, ma mi sembra difficile un dialogo con Renzi». E se sul nazionale la visione di Randazzo non appare possibilista, men che meno lo è a livello locale, dove il consigliere non crede «possano esserci riflessi. Nessun accordo con Orlando, siamo troppo distanti». L’idea è che comunque questa distanza che a oggi c’è ed è netta, potrebbe comunque risultare colmabile. Anche in luce della – replica Randazzo – e prudente adottata dalle due fazioni.
Prudenza espressa in maniera forte nelle parole del capogruppo del Pd in consiglio comunale, Dario Chinnici. «Al momento – dice – è tutto molto liquido, parlare ora sarebbe prematuro. Da capogruppo continuo a lavorare per la mia città e per il mio territorio instancabilmente. Non mi sento di dire altro e non voglio entrare in dinamiche che neanche mi appartengono, in questo momento fare dei commenti sarebbe superfluo, aspettiamo gli eventi e ci si determinerà». Prudenza che viene quasi meno quando si tirano in ballo i colleghi pentastellati palermitani. «Noi siamo sempre gli stessi, il problema è dei grillini – continua Chinnici – Io sono nel Pd da quando avevo 14 anni e non ho mai cambiato. Loro sono una nuova formazione, poi si sono guardati allo specchio e non si sono riconosciuti».
«A sala delle Lapidi – conclude rispondendo alla domanda sulla sua eventuale disponibilità a votare atti condivisi – sono il capogruppo del più numeroso gruppo maggioranza, è un problema loro votare i miei atti, la crisi identitaria l’hanno avuta loro, non noi. Noi ce ne siamo accorti molto tempo prima di loro. I 5 stelle ormai non esistono quasi più». Parole decise, ma che comunque non spaventano i grillini.
«Non si tratta del primo che ci accusa di esserci snaturati troppo sbilanciati a destra – replica Randazzo -. In realtà abbiamo semplicemente dato seguito a quello che era previsto nel contratto di governo. Sapevano fin da subito di stringere un accordo con un partito distante anni luce dalla nostra visione. Lo abbiamo fatto perché gli italiani ci hanno chiesto di governare, ma siamo rimasti sempre distanti dalla Lega. Però abbiamo realizzato delle misure: reddito di cittadinanza, quota cento. Ora è semplice giudicare, però volevamo provare a fare quanto promesso agli italiani. Guarda caso sul Tav siamo rimasti fermi, e poi lui ha deciso di staccare la spina».
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