Etna, Giro d’Italia a quota 2.850? Il sì del vulcanologo «Scalata è tecnicamente fattibile, con alcuni paletti»

Il Giro d’Italia sull’Etna, fino ai piedi del cratere di Nord-Est, a Piano delle Concazze, quota 2.850 metri. L’ambizioso progetto – raccontato da MeridioNews lo scorso aprile per la prima volta – va avanti sotto traccia, con l’obiettivo di fare arrivare il dossier sulla scrivania dell’organizzazione di Rcs il prima possibile, cioè entro settembre. E adesso incassa il parere positivo del vulcanologo Marco Neri. «Dal punto di vista vulcanologico la scalata è tecnicamente fattibile», dice il tecnico che è primo ricercatore all’Ingv di Catania, ma che in questo caso si esprime a titolo personale.

L’idea è venuta a un giovane ingegnere di Trecastagni appassionato di ciclismo, Fabio La Ferla. Si tratta di una cronoscalata individuale di circa 27 chilometri, ma accorciabile in caso di necessità. In ogni caso la prima certezza è che i ciclisti salirebbero uno per volta, accompagnati dalle moto. 

Il tracciato proposto partirebbe dalla piazza di Salt’Alfio, belvedere sul litorale ionico, si arrampica lungo le pendici del vulcano, toccando il Castagno dei cento cavalli, la contrada Magazzeni con le sue le lave del 1928, la strada Mareneve che attraversa le pinete Cubania e Ragabo, per salire sino a Piano Provenzana, a quota 1.800 metri. Da quel punto si lascerebbe la strada asfaltata e si prosegue con gli ultimi 8,7 chilometri molto impegnativi – con pendenze che arrivano al 22 per cento – lungo la strada sommitale sterrata che raggiunge il pianoro denominato Piano delle Concazze, adiacente alla località Pizzi Deneri, dove sorge l’Osservatorio Vulcanologico gestito dall’Ingv. Siamo a 2.850 metri sul livello del mare.

La Ferla ha trovato il sostegno anche dell’architetto Cirino Cavalli, dirigente del Parco dell’Etna. Nulla di ufficiale al momento, ma Cavalli spiega: «La mia opinione è positiva, tuttavia l’ente parco potrà esprimersi sulla fattibilità, positivamente o negativamente, solo davanti a un progetto definitivo». Per la cui realizzazione arriva adesso l’importante parere di Neri, tra i vulcanologi di riferimento dell’Ingv di Catania. 

In un documento di nove pagine, Neri passa in rassegna le caratteristiche della tappa e tutte le potenziali criticità: dallo scenario di rischio più basso a quello più alto. Arrivando a una conclusione: l’attività dell’Etna non impedisce a priori di organizzare un evento simile. «Le attività eruttive tipiche del vulcano si mantengono, in media, per gran parte dell’anno compatibili con lo svolgimento della corsa», scrive. Certamente ci sono alcuni paletti da rispettare e un paio di scenari in cui la tappa potrebbe essere accorciata o modificata, spostandola su un percorso alternativo, come su un altro versante del vulcano. E non sarebbe affatto la prima volta che una tappa di montagna del Giro d’Italia, o anche del Tour de France (come successo proprio lo scorso mese), subisca cambiamenti dell’ultimora. 

Prima di entrare nel merito della sua materia, il vulcanologo fa una premessa: «Il tracciato in terra battuta che collega Piano Provenzana con Piano delle Concazze va reso adeguato al transito in sicurezza dei ciclisti e dei motociclisti dell’organizzazione al seguito. Siamo all’interno della zona A del Parco dell’Etna, e questo impone scelte progettuali che non alterino l’ambiente e lo restituiscano, ad evento finito, alla sua originaria naturalità». 

Poi si passa ai vari scenari di rischio. Gli ultimi 8,7 chilometri si sviluppano lungo il Rift di Nord-Est. «In assenza di attività eruttiva – scrive Neri – il tracciato è da considerarsi sicuro, e infatti è utilizzato da decenni per trasferire in cima al vulcano decine di migliaia di turisti ogni anno. In caso di attività eruttiva prodotta da bocche che dovessero aprirsi proprio sul Rift di Nord-Est, ovviamente non sarebbe possibile fare passare nessuno. Ma quanto frequentemente avvengono eruzioni da quelle parti?  – continua il vulcanologo – Se si escludono le eruzioni alimentate dai crateri sommitali, l’ultima eruzione laterale avvenuta lungo il Rift di Nord-Est risale al 2002, diciassette anni fa. Non sono frequenze particolarmente elevate. Inoltre, si tratta di eventi eruttivi quasi sempre preceduti da precursori molto chiari che anticipano di giorni quel tipo di eruzioni». In definitiva, «se un’eruzione laterale dovesse diventare probabile da quelle parti, è chiaro che la corsa in quel giorno si sposterebbe altrove».

Passando ad analizzare il punto di arrivo a Piano delle Concazze, Neri da un lato sottolinea che «si presta assai bene, dal punto di vista logistico, vista la sua ampiezza e le peculiarità naturalistiche e eologiche del sito», ma dal punto di vista vulcanologico, ricorda che «è un luogo che impone cautela, perché l’ampio pianoro si trova ai piedi di uno dei crateri sommitali del vulcano (entro un raggio in linea d’aria di circa due km), un fattore, questo, da tenere in debito conto». 

Ecco quindi tre possibili scenari: il primo è un’attività eruttiva di solo degassamento dalle bocche sommitali (come spesso si vede negli ultimi anni). «I ciclisti potrebbero risentire, durante lo sforzo fisico, della presenza di questi gas in atmosfera, esclusivamente nel caso in cui il vento dovesse spirare da Sud-Ovest verso Nord-Est. In ogni caso – aggiunge – la distanza dai crateri sommitali è tale che quasi mai il pennacchio gassoso del vulcano raggiungerebbe Piano delle Concazze in concentrazioni tali da rendere difficoltosa la respirazione. Le previsioni meteo permetteranno, comunque, di sapere per tempo se il vento spirerà effettivamente verso Nord-Est e quindi consentirà di prendere adeguate contromisure, come quella di arretrare l’arrivo ad una quota leggermente inferiore rispetto a quella prevista».

Lo stesso discorso vale per lo scenario di tipo due: un’attività eruttiva di tipo stromboliano dalle bocche sommitali. «Anche in quel caso si deve ipotizzare di arretrare l’arrivo a quota minore. La ricaduta al suolo di cenere vulcanica rappresenterà comunque un pericolo concreto per la sicurezza degli atleti, del pubblico e del personale organizzatore, poiché renderà la pista particolarmente scivolosa. Ciò potrebbe compromettere il buon esito della tappa, in assenza di contromisure applicabili in tempo reale». 

E poi c’è lo scenario tre: l’eruzione eruttiva laterale. «Molto dipenderà dal punto in cui si apriranno le bocche laterali lungo i fianchi del vulcano, se mai ciò dovesse accadere. Una fessura eruttiva aperta sul fianco sud o ovest non sarebbe di alcun intralcio per il percorso dei corridori che si snoda sul fianco nord-orientale». Neri infine invita a porre molta attenzione all’azione del vento e all’effetto che può avere o sulla cenere vulcanica sulla pista. «La soluzione potrebbe essere un preventivo spazzamento e la compattazione della pista prima della partenza dei corridori».

Il vulcanologo, quindi, suggerisce due possibili percorsi alternativi nel caso in cui la tappa dovesse essere modificata: arretrare l’arrivo di circa tre chilometri, sino a quota 2600 metri, o eventualmente anche sino a quota 2.400. Oppure spostare la tappa sul fianco sud, utilizzando la pista già esistente tra il piazzale del Rifugio Sapienza e il pianoro poco sopra la stazione di arrivo della Funivia dell’Etna (2.650 m di quota). Infine, alcuni suggerimenti sulla logistica: lasciare l’ultimo chilometro transennato; usare fuoristrada e funivia del versante Sud per portare gli atleti al Rifugio Sapienza una volta finita la tappa; rendere pienamente fruibile la pista secondaria di servizio che da quota 2500 permette di scendere velocemente fino a Piano Provenzana.

Salvo Catalano

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