L’ultimo enigma del Conquistatore

Alessandro Magno: un grande personaggio storico, una leggenda millenaria e il mistero della sua tomba che continua ad affascinare. Sono gli ingredienti dell’ultimo bestseller dell’archeologo e scrittore Valerio Massimo Manfredi, La tomba di Alessandro. L’enigma, edito da Mondatori, presentato lo scorso giovedì nel Coro di notte del Monastero dei Benedettini.

La presentazione del libro, organizzata all’interno della rassegna LibrinScena, promossa dal Teatro Stabile di Catania in collaborazione con la Facoltà di Lettere e Filosofia e l’Assessorato comunale alla Cultura, è stata introdotta da Monica Centanni, docente di Archeologia e tradizione classica all’Università IUAV di Venezia, e Lorenzo Braccesi, storico del mondo greco e romano. L’incontro è stato inoltre arricchito da diapositive proiettate in anteprima e presentate dallo stesso Manfredi.

Ai microfoni di Radio Zammù, in un’intervista realizzata da Assya D’Ascoli ed Elio Sofia, il pluripremiato autore di saggi e romanzi storici e conduttore della trasmissione televisiva Stargate – Linea di confine su La7, ha parlato del mistero del sepolcro del grande re macedone, tra storia, mito e leggenda.


La tomba di Alessandro è oggetto di leggende e ricerche da secoli. La parola “enigma” nel titolo ci vuole dire che c’è qualcosa che non torna?
«Non è esattamente che c’è qualcosa che non torna, è che è un problema spinoso, difficile e quindi di non facile soluzione. Sono state fatte diverse proposte, alcune anche balzane, altre molto serie; se ne sono occupati studiosi di altissimo profilo, però le probabilità di identificare con precisione anche solo dove si trovasse sono abbastanza remote. Però, è molto bello anche soltanto fare il punto sulla situazione e vedere quanto è complesso il problema e quanto è rimasto vivo il ricordo di questo uomo, dal piglio più illustre dell’antichità».

La leggenda di Alessandro Magno è nata subito dopo la sua scomparsa. Addirittura si dice quando “il corpo di Alessandro era ancora caldo”. Giusto?
«Esattamente. Questa è una frase di Lorenzo Braccesi, che è uno dei massimi studiosi di Alessandro nel nostro paese, ed è assolutamente azzeccata. Il re è appena morto e la sua leggenda già conquista tutto il mondo, spinta dal fascino stesso del personaggio, dal fatto che è morto giovanissimo, che aveva ancora progetti enormi e quindi dall’interrogativo che ancora oggi ci poniamo: cosa sarebbe stato il mondo se …»

Ci sono tanti aneddoti curiosi che ruotano intorno alla sua morte: è vero, per esempio, che il corpo di Alessandro è stato tenuto tre anni nel miele?
«Il corpo in un primo momento viene dimenticato, perché i suoi amici sono troppo impegnati a litigare e a scontrarsi su quale debba essere appunto il dopo-Alessandro. Se ne occupano dopo una settimana. Sappiamo che fu imbalsamato secondo una tecnica egiziana e che quindi era destinato ad essere trasportato. C’è una fonte che dice che la salma è stata coperta di miele, però le fonti più accreditate, soprattutto Diodoro, parlano invece di un corpo imbalsamato e poi coperto di sostanze aromatiche e di profumi. Penso che questa sia la versione più attendibile».

La ricerca della tomba ad un certo punto però sembra interrompersi per poi ricominciare intorno all’Ottocento. È così?
«Sì, perché il periodo islamico rappresenta nel complesso un periodo di oblio, ma non completamente. Infatti, si tramanda il mito di Alessandro come Dhu al-Qarnayn, cioè il bicorne, che nasce dalla sua immagine di figlio di Amon-Zeus, rappresentato con le corna di ariete, e inoltre Alessandro viene considerato un nabi, cioè un profeta. C’è comunque una grossa confusione perché, all’epoca, nel mondo arabo non c’erano i mezzi per recuperare testimonianze attendibili. C’è anche chi dice che l’identificazione con Dhu al-Qarnayn è tutta da dimostrare, ma secondo me è abbastanza probabile. Anche durante il Medioevo ci sono dei viaggiatori europei che dicono di aver visitato il luogo della tomba di Alessandro, che lo indicano. Si dice addirittura che sia ancora meta di visite da tutto il vicino Oriente.
Alla fine si consolida l’idea che la tomba di Alessandro sia di fatto la moschea el-Attarin, che è nella parte centrale dell’Alessandria antica ed è una moschea preceduta da un vasto colonnato quadriportico, con all’interno un piccolo padiglione sotto il quale c’era un grande sarcofago di quercia verde, pesante sette tonnellate e coperto di geroglifici. Però, il sarcofago era stato bucato tutto intorno alla base per ricavarne degli zampilli e quindi quasi certamente serviva per le abluzioni dei piedi prima di entrare nella moschea. Ad ogni modo, tanto forte era la convinzione che quel sarcofago fosse la tomba di Alessandro che addirittura Napoleone lo fece portare su una nave ospedale dove fu coperto di stracci purulenti per celarlo, ma l’incaricato inglese Clarke, aiutato dagli arabi, riuscì a recuperarlo e oggi si trova al British Museum. In seguito, la decifrazione dei geroglifici consentì di leggere le iscrizioni e di appurare che non era il sarcofago di Alessandro. Comunque, l’oggetto è molto interessante perché attribuito al Nectanebo II, che era l’ultimo faraone indigeno d’Egitto, sparito misteriosamente dopo la guerra perduta con i Persiani».

Agata Pasqualino

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