Lorena Mangano, le motivazioni delle condanne «Se passo a 120 a un incrocio col rosso, uccido»

Due auto a folle velocità in via Garibaldi a Messina, paragonate dal gup di Messina Salvatore Mastroeni alle pistole della roulette russa. Questo le due parole che il magistrato usa, descrivendo le condotte di Gaetano Forestieri e Giovanni Gugliandolo, condannati lo scorso 21 dicembre per l’omicidio stradale della 23enne di Capo D’Orlando, Lorena Mangano, travolta e uccisa da un’Audi TT la notte del 26 giugno 2016. 

Adesso sono state depositate le motivazioni di quella sentenza. In 54 pagine il gup spiega i motivi delle due condanne a undici anni per Forestieri, l’ex finanziere che guidava l’Audi e a sette anni Gugliandolo, che secondo la procura stava gareggiando con il primo. Condanne che sono sembrate non adeguate, ma i due hanno scelto di essere giudicati con l’abbreviato e hanno ottenuto lo sconto di un terzo della pena. Il giudice parla delle due auto super elaborate usate quella sera come armi, come li pistole nella roulette russa. «Ma nel caso dell’incidente non rivolte verso la propria nuca, ma verso sé stessi». 

E spiega: «Se sparo con una pistola posso uccidere, se muovo l’enorme carro di una macchina ad altissima velocità contro una autovettura che legittimamente passa col verde, e figurarsi un passante eventuale, posso uccidere. Il preconcetto è che la pistola nasce per offendere e l’auto no, ma è l’uso consapevole che fa la differenza non la destinazione abituale: se sparo mille colpi in aria non uccido nessuno, se passo a 120 ad un incrocio col rosso uccido, salva la fortuna che nessuno attraversi dall’altro lato con il verde». 

Nel condannare i due imputati, Mastroeni si basa sulle prove e parla di «una ricostruzione certa e priva di interpretazioni alternative, ma nel contempo agghiacciante, della dinamica del sinistro». Ad incastrare Gugliandolo e Forestieri sono le riprese delle telecamere di sicurezza di alcuni negozi nella zona che forniscono immagini «difficili da comprendere e da spiegare per chi le osserva, perché esse si pongono al di fuori di ogni ragionevole rispetto delle regole della strada e della stessa vita umana». Nelle motivazioni della sentenza vengono cristallizzate le modalità della folle corsa definita senza mezzi termini «una gara di velocità, una sfida che si è caratterizzata per un’andatura a singhiozzo, avanti, indietro, affiancati, con anche azzardate manovre di sorpasso delle altre numerose auto presenti, effettuate a zig-zag e con momenti di folle velocità, incuranti entrambe del traffico veicolare e persino pedonale presente».

La valutazione complessiva del magistrato arriva alla conclusione che «alla luce di tutti i dati esposti, e delle valutazioni collegate, come si è detto, la responsabilità degli imputati appare provata oltre ogni ragionevole dubbio. Nel video in cui si vede una parte dello scontro fra l’auto omicida e l’auto della persona offesa – aggiunge -, nel fotogramma di quell’istante, vi è il momento più drammatico del fatto, documentato nel suo agghiacciante verificarsi. Ma tutti i video, acquisiti con sapienza dall’accusa, e visionati nello scorrere delle autovetture, fotografano, in chi guarda a posteriori, una marcia tragica e mortale (fatta più di gioco sinistro che di velocità pura) cui si immola una piccola auto e una giovane ragazza, anch’essa ripresa nel presentarsi al suo destino di morte». 

I fotogrammi dello scontro individuano l’arma con cui è morta Lorena Mangano, «un missile, un razzo, una macchina omicida che attraversava l’incrocio a folle velocità e con il rosso, disegnano anche, in un’immagine di rara drammaticità, l’approssimarsi della macchinetta (il termine si usa con dolorosa tenerezza e plastica evidenza, rispetto alla macchina di morte) di Lorena al semaforo». 

Simona Arena

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