Long drink/ I risarcimenti alla Basilicata e l’inquinamento per la Sicilia e i siciliani

La notizia è ufficiale: in questi giorni gli abitanti della Basilicata stanno cominciando a utilizzare il cosiddetto bonus carburante. Si tratta, detto in parole semplici, di una specie di bancomat ricaricabile. Ogni abitante ha a disposizione 100 euro e 70 centesimi di benzina o gasolio all’anno. Per usufruire di questo beneficio – che è uguale per tutti, ricchi e poveri – è sufficiente essere residenti nella regione e avere la patente. Punto.

Perché questo ‘regalo’? Semplice. Perché in Basilicata, da qualche tempo, operano pozzi e trivelle che, ogni giorno, estraggono dal sottosuolo 80 mila barili di petrolio. A conti fatti, un decimo di quello che serve per far girare economia del nostro Paese.

E la Sicilia? Noi abbiamo l’Autonomia. Ma l’abbiamo usata male. Nel 1974, quando si firmarono gli accordi con l’Algeria per l’avvio del metanodotto (quello che, per l’appunto, collega l’Algeria alla Sicilia), si stabilì che una quota del metano sarebbe rimasta in Sicilia. A titolo gratuito. Quell’accordo porta la firma dell’allora presidente della Regione, Angelo Bonfiglio, e dell’allora assessore all’Industria, Nicola Capria.

Pensate: sulla scia di tale accordo venne pure costituita una società tra Regione ed Eni – la Siciliana Gas – che avrebbe dovuto metanizzare i Comuni della Sicilia. Risultato: la Sicilia non ha mai utilizzato il metano gratuito previsto dagli accordi siglati con il governo nazionale dell’epoca e con l’Algeria. Perché? Semplice: perché i politici siciliani di allora accettarono l’offerta del governo nazionale in cambio – supponiamo – di benefici personali, pur di far cadere nel ‘dimenticatoio’ quell’accordo. ‘Ascarismo’ allo stato puro.

Del resto, il metanodotto tra Sicilia e Algeria era nato bene ed è finito male. Era nato, alla fine degli anni ‘60, da una felice intuizione dell’allora presidnete dell’Ente minerario siciliano (Ems), Graziano Verzotto (nella foto sotto a sinistra). Con i falsi eredi di Enrico Mattei – leggere gli uomini dell’Eni di quegli anni – che dicevano che la realizzazione del metanodotto Sicilia-Algeria era “impossibile”. Tanto “impossibile” che, qualche anno dopo, la realizzarono loro. Non prima di aver fatto fuori – politicamente (in realtà, c’è chi provò pure ad ammazzare Verzotto, ma non ci riuscì) – il presidente dell’Ems. Che divenne il ‘cattivo’. Mentre gli ‘ascari’ che hanno fatto perdere alla Sicilia l’occasione di utilizzare la quota di metano gratuitamente sarebbero i ‘buoni’.
Dimenticavamo: la metanizzazione dei Comuni sicliani. Che è stata fatta lo stesso. Almeno in parte. Ma che è stata fatta, in massima parte, da una società riconducibile a Vito Ciancimino. Un altro ‘capolavoro’ della politica siciliana che per lunghi decenni – al di là delle frottole che si raccontano – è stata contrassegnata dalla figura imperante di Vito Ciancimino.

Superfluo aggiungere che anche dal metanodotto che collega la Sicilia alla Libia la nostra Isola non ci guadagna nulla. Così come non abbiamo guadagnato nulla, ma anzi abbiamo perso – e Dio solo sa quanto abbiamo in termini di vite umane e di disastri ambientali – con l’industrializzazione di Siracusa. Quella dell’area industriale di Siracusa è, forse, la più grande manifestazione di ‘ascarismo’ della storia della Sicilia.

Nell’area industriale si Siracusa hanno piazzato di tutto. Chimica ‘pesante’, fertilizzanti, raffinerie. Veleni a tutto spiano. Fino a meno di dieci anni fa tutte le schifezze sono state scaricate in mare. Nessuno si è mai preoccupato di effettuare i controlli sull’inquinamento.

A partire dai primi anni ‘80 – questa è storia – la Regione, sulle ceneri dell’assessorato allo Sviluppo economico, istituiva l’assessorato regionale al Territorio e Ambiente. Questo assessorato vedeva la luce proprio per tutelare il nostro territorio. In parte tale azione è stata meritoria. Se oggi il 25 per cento della superficie della Sicilia è tutelata grazie all’istituzione di Parchi e Riserve naturali lo si deve a questa branca dell’amministrazione regionale (e, in parte, anche all’Unione Europea, che ha istituito le Zone di protezione speciale, Zps, e i Siti d’interesse comunitario, Sic). Ma questo assessorato, rispetto all’inquinamento dell’area industriale di Siracusa, non ha fatto assolutamente nulla. Anzi, ha coperto immani disastri ambientali.

I grandi gruppi industriali nazionali – pubblici e privati – che hanno operato in provincia di Siracusa, come già ricordato, hanno scaricato nell’aria e in mare tonnellate di agenti inquinanti. E se, meno di dieci anni fa, il flusso di veleni che finiva in mare è stato interrotto, ebbene, questo non lo si deve alla Regione, ma a un giovane magistrato autore di un’inchiesta che meriterebbe il premio Pulitzer della Giustizia.

Ciò nonostante, il danno è fatto. Ed è un danno ambientale gravissimo. Sapete perché non viene bonificata la rada di Augusta? Perché i tecnici non sanno dove eventualmente ‘parcheggiare’ le tonnellate di mercurio che sono ‘custodite’ nei fondali di questo tratto di mare. Per non parlare degli effetti devastanti provocato a un ampio tratto di mare, tra inquinamento e mutazioni genetiche della flora e della fauna.

Dal mare all’aria. Ormai da decenni nei centri abitati che insistono nell’area industriale di Siracusa le malattie non si contano più. Patologie dell’apparato respiratorio, aumento delle neoplasie. E teratologie: ovvero nascita di bambini deformi.

Per tutti i danni che la Sicilia ha subito sono stati chiesti i risarcimenti? No. Eppure, come abbiamo scritto nell’inizio di questo articolo, la piccola Basilicata – che può contare su un decimo degli abitanti della Sicilia – per il ‘disturbo’ dei pozzi di petrolio che ospita ha già chiesto e ottenuto un risarcimento per i propri cittadini.

In effetti, il ‘risarcimento’ per gli abitanti dell’area industriale di Siracusa stava per arrivare: un bel rigassificatore tra Priolo e Melilli. La politica siciliana – l’attuale politica siciliana – era pronta ad aprire le ‘cosce’ per ricevere anche questo ennesimo ‘monumento’ allo sviluppo.

Poi, in ‘zona Cesarini’, il governo della Regione ha detto “no”. Resipiscenza? Neanche per sogno! I signori politici si sono spaventati perché un magistrato bravo e serio – il procuratore della Repubblica di Siracusa, Ugo Rossi, che non a caso è inviso a tanti politici ‘truffaldi’ della Sicilia orientale – ha avviato un’inchiesta su tale opera. Sarebbero venute fuori due cose, tra le tante. Primo: che l’area industriale di Siracusa è già piena di veleni e non ne ‘desidera’ altri. Secondo e più importante motivo: che l’area in questione è ad alto rischio sismico e lì mai e poi mai può vedere la luce un impianto di rigassificazione pericoloso per antonomasia.

Il “no” del governo della Regione, insomma, più che il frutto di una convinzione politica, è la risultante di una condizione oggettiva. Se fosse dipeso dalla politica – e da certe organizzazioni sindacali – il rigassificatore traPriolo e Melilli sarebbe stato realizzato. Così come, del resto, un rigassificatore è stato autorizzato – prorpio dall’attuale governo regionale – a un chilometro dalla Valle dei Templi di Agrigento. Con il corollario di tanti milioni di euro in ‘libera uscita’ (con entrata nelle tasche di qualcuno).

foto di Verzotto tratta da immiamemoria.com

foto di Priolo tratta da prioloaltervista.org

 

 

 

Giulio Ambrosetti

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