L’ombra del vento, il romanzo che sfida i mulini della Mancha

Forse essere accostati a Cervantes può sembrare un po’ eccessivo, per chi fino a pochi anni fa scriveva racconti per bambini. Ma è ciò che è successo a Carlos Ruiz Zafon, autore de “L’ombra del vento”, il cui successo editoriale ha dell’incredibile. Pubblicato nel 2001, solo da pochi mesi il romanzo ha raggiunto le vette delle classifiche best sellers di tutto il mondo, vendendo oltre sette milioni di copie, grazie soprattutto al passaparola dei lettori attraverso blog, newsletter e forum.
Tutto questo abbellito dalla pubblicazione di una colonna sonora, un accattivante sito internet, la consegna di numerosi premi letterari e la redazione di commenti per lo più entusiastici sulla stampa internazionale.
Il New York Times ha paragonato Zafon, addirittura a Garcia Marquez, Eco e Borges e, soprattutto, non si può non tenere conto dell’opinione di un testimonial d’eccezione come Stephen King secondo il quale: “Se qualcuno pensava che l’autentico romanzo gotico fosse morto nel XIX secolo, questo libro gli fará cambiare idea”.
Come è ovvio pensare in questi casi, il successo ha portato con sé una scia di polemiche che alla fine non hanno fatto altro che accrescere la popolarità di Zafon che, davanti tutto questo tam tam si rifugia nella sua villa in California ad ultimare il suo ultimo romanzo, ambientato ancora a Barcellona, circa cinquanta anni prima de “L’ombra del vento”, con un personaggio d’eccezione: Antoni Gaudì.

La vicenda de “L’ombra del vento”, ruota intorno alla scoperta di Daniel, fortunosa e imprevista, di un libro, “L’ombra del vento” appunto, nel misterioso cimitero dei libri dimenticati di Barcellona. Da questo momento sarà un crescendo di intrecci e intrighi per scoprire il mistero che si cela dietro questo romanzo, un vortice di amori e gelosie, una fuga continua tra le strade e i vicoli di una Barcellona della prima metà del secolo scorso.
Il romanzo mostra una vasta gamma di personaggi, spesso semplici comparse. Dispiace, comunque, perderne di alcuni, le caratteristiche essenziali, gli umori, le sensazioni più intime. E spesso, sembra che agiscano spinti solo seguendo impulsi dettati dalle esigenze della trama.
Una trama lineare, a tratti scontata, cinematografica, forse un po’ sbrigativa alla fine, lasciando ad un lungo monologo finale il compito di scoprire il mistero. Lo scrittore dosa intelligentemente i colpi di scena, riuscendo a tenere incollato il lettore fino alla fine. 
La debole caratterizzazione di alcuni personaggi principali, l’aspetto forse più negativo dell’intero romanzo, sembra essere compensata dalla personalizzazione che emerge di Barcellona.
La collina di Montjuic è un golgota perfido, l’ascesa al Tibidabo è un lento passaggio cavernoso e oscuro, il Barrio Gotico un segreto nascondiglio, El Colon è una porta su un mare di paure.
Perversa ammaliatrice, sensuale tentatrice, la città catalana sembra perdere il suo magnetismo, nascondendo la sua sinuosità, pressata da un’atmosfera malinconica, spesso piovosa, ben lontana dai fasti che cinquanta anni dopo l’hanno resa esaltante crocevia di culture.

Riccardo Consoli

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