«Penso di essere stato io a segnalare la sua assunzione all’interno della ditta Ipi, ma per un periodo determinato e breve». A fornire questa ammissione è l’ex presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo, sentito nelle vesti di imputato nel processo per voto di scambio semplice in cui è alla sbarra insieme al figlio Toti e ad altre tre persone. Si tratta di Giuseppe Giuffrida, effettivamente assunto il 18 marzo 2013 alcuni mesi dopo le elezioni regionali; Ernesto Privitera, cognato di quest’ultimo ma anche ex consigliere di municipalità del Movimento per le autonomie e il cugino Angelo Marino. La Ipi srl è una delle due società che, insieme alla Oikos spa, in un raggruppamento temporaneo d’imprese gestisce il servizio di spazzamento nella città di Catania. Secondo la ricostruzione di Lombardo, durante il periodo in cui ricopriva la carica di governatore, il patron della Ipi Angelo Deodati si sarebbe recato dal leader autonomista. «Quando la ditta – spiega al giudice Laura Benanti – ha vinto l’appalto (nel 2010, ndr) si è sicuramente presentato questo imprenditore per prospettarmi la possibilità di assumere delle persone».
Proprio su questa assunzione si basa la tesi dell’accusa. Secondo i magistrati Rocco Liguori e Lina Trovato, dietro il posto di lavoro dato a Giuffrida e il sostegno elettorale concesso a Toti Lombardo, poi eletto all’assemblea regionale siciliana, si sarebbe consumato il reato di voto di scambio. Il sostituto procuratore Liguori ha infatti evidenziato, chiedendo anche conferma al diretto interessato, come negli anni 2009 e 2010, in pieno governo autonomista, fossero state concesse le autorizzazioni all’ampliamento della discarica di contrada Tiritì, di proprierà della Oikos, nel territorio del Comune di Motta Sant’Anastasia. «Risponderò senza problemi – ha replicato Lombardo – se alla prossima udienza mi farete vedere gli atti. Ora posso solo dire che mio figlio è il primo firmatario di un decreto per il mancato ampliamento di quella discarica». Il titolare dell’impianto, Mimmo Proto, è stato arrestato lo scorso 18 luglio nell’ambito dell’operazione Terra mia per un presunto giro di tangenti pagate per evitare i controlli ambientali da parte della Regione.
Lombardo, nonostante l’ammissione dell’assunzione, difende il suo operato senza mezzi termini, in un interrogatorio durato quasi due ore. Privitera viene etichettato come «il cittadino con la più lunga vicinanza politica e familiare alla mia persona». Per dimostrare la sua tesi, l’ex presidente, mostra alla corte addirittura una fotocopia del quotidiano La Sicilia datata 7 giugno 1970. «Nelle file della Democrazia cristiana – continua -, al numero 35, era candidato mio padre, allora sostenuto dal padre di Privitera». Un rapporto descritto come «ossequioso e rispettoso», nonostante «le continue richieste nell’ambito di un amicizia che dura ormai da 40 anni».
Tra la lettura di una intercettazione e il racconto di come sono state fatte le liste alle ultime elezioni regionali, Lombardo affila le armi quando si sofferma sulla «transumanza apocalittica di consiglieri comunali» che ha interessato il Consiglio comunale di Catania. Dietro le scelte dei «voltagabbana siciliani» – così bollati anche in una recente intervista a MeridioNews –, indicati in un’apposita lista consegnata al giudice, ci sarebbero stati «non sempre cambi di ideali politici» ma anche possibili collegamenti ad episodi di voto di scambio. «Non spetta a me fare indagini su possibili dazioni di denaro, assunzioni o quant’altro», sottolinea l’ex governatore.
Su specifiche domande degli avvocati Mario Brancato e Salvo Pace, Lombardo è tornato anche su alcuni passaggi emersi durante l’udienza precedente. Il 13 ottobre 2012, davanti al club I pazzi dei tifosi del Calcio Catania, secondo la ricostruzione degli inquirenti, tre soggetti parlavano dei prezzi dei voti. «Non ho nessun rapporto con il tifo organizzato, conosco solo Giovanni Trovato (attuale consigliere di municipalità, ndr) che, secondo le dichiarazioni di Vincenzo Pettinati, su indicazione del boss Giovanni Colombrita, gli avrebbe chiesto di ritirare un premio». I motivi su cui si basa la conoscenza li chiarisce lo stesso Lombardo: «Era un fedelissimo di Giuseppe Arena», ex assessore al Comune e candidato alle ultime regionali nel Partito dei siciliani.
Proprio dalle dichiarazioni di Pettinati, insieme a quelle dell’altro pentito del clan mafioso dei Cappello, Gaetano D’Aquino, ha preso il via l’inchiesta sul voto di scambio che riguarda i Lombardo. Tra le pagine delle intercettazioni emerge anche la dicitura «Retina, Etnabar». Una sorta di pseudonimo, associato a una attività della città di Catania su cui però gli investigatori della Squadra mobile, sentiti in aula, avevano ammesso di non aver fatto ulteriori accertamenti. «È facilmente individuabile – spiega Lombardo – in Francesco Petrina dell’Etnabar (consigliere del comune di Catania eletto nella liste Primavera per Catania, ndr) che avrebbe dato tremila euro da quanto emerge nelle intercettazioni».
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