Lombardo, da ‘manovratore’ a ‘manovrato’

Le parti sembrano essersi invertite. Se, fino a qualche settimana fa, era il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, a tirare la corda e a tenere in scacco la politica, oggi sembra che sia la politica, nel suo complesso, a tenere sotto scacco il governo dell’Isola. La mossa di ieri del leader dell’Udc siciliana, Giampiero D’Alia, è, infatti, solo l’ultimo passaggio – in ordine di tempo – di quella che si annuncia come una lunga partita.
Dal 2009 – grosso modo la data è questa – Lombardo ha manovrato con una certa abilità tattica le varie ‘pedine’ dello scacchiere politico siciliano, frantumando partiti (in certi casi riuscendoci, in altri casi no), scomponendo e ricomponendo giunte e vertici dei dipartimenti regionali. Imponendo il suo gioco ora con la sponda del Pd (partito che oggi, però, proprio per tenere in piedi il rapporto con il governo Lombardo, appare sempre più logorato non tanto dalle diatribe interne, ma da una distanza dalla base che cresce di giorno in giorno), ora con il ‘ricatto’ politico che un suo eventuale ‘scivolone’ avrebbe mandato a casa tutti i novanta deputati di Sala d’Ercole (per esempio, con la mancata approvazione del bilancio 2011 che l’Aula avrebbe potuto ‘bocciare’ ma non ha ‘’bocciato’ proprio pe esigenze di ‘autoconservazione’).
Il gioco è andato avanti fino allo scorso autunno. Quando sono maturati due elementi apparentemente disgiunti, ma in realtà, legati a doppio filo. Il primo elemento è la mancanza di strategia politica dello stesso Lombardo, abile, come già accennato, nella tattica, ma incapace di elaborazione politica di spessore. Ed è proprio sull’assenza di visione strategica di Lombardo che sono maturati gli eventi, apparentemente distaccati, che invece, visti nel loro insieme, sembrano, questi sì, parte di una strategia.
Il primo ‘segnale’ è arrivato lo scorso autunno, in commissione Bilancio e Finanze dell’Ars, durante l’audizione dei vertici della Corte dei Conti. Alla fine di questa seduta ai giornalisti è pervenuta una dichiarazione, per certi versi inusuale, a parte della magistratura contabile. Dove si diceva, a chiare lettere, che, in ordine alla sanità, la Corte dei Conti non avrebbe accettato appostamenti di bilancio poco ‘avventurosi.
Il ‘segnale’ appariva chiaro alla luce, soprattutto, del bilancio 2011 approvato nell’aprile dello scorso anno, quando l’Aula ha detto “sì” a un appostamento, pari a 750 milioni di euro, a valere su somme che, in quel momento, non erano nelle disponibilità dell’amministrazione regionale. Si trattava, per la precisione, di risorse Fas (Fondi per le aree sottoutilizzate, peraltro originariamente destinate alle infrastrutture e non alle spese correnti sanitarie!) che solo qualche mese dopo sono entrate nella ‘casse’ della Regione grazie al “sì” del governo Berlusconi: un “cortesia” che non era tanto un favore al governo Lombardo, ma una risposta concreta alle richiesta di tutta la deputazione dell’Ars che, senza l’arrivo di queste somme, sarebbe andata a casa per ‘assenza’ di bilancio.
Il “no” a coperture delle spese sanitarie ‘avventurose’ ha anche un altro significato, più politico che contabile. Proprio la Corte dei Conti, che i bilanci li sa leggere, ha messo, con molta probabilità, in relazione due elementi: da un lato i ‘tagli’ spesso ‘selvaggi’ e irrazionali, alla sanità pubblica operati dall’attuale governo regionale, che avranno di certo prodotto dei risparmi; dall’altro lato, l’aumento complessivo della spesa sanitaria, nonostante questi ‘tagli’. La testimonianza ‘tecnica’, ma ricca di significati ‘politici’, che, al di là dei ‘proclami’, a partire dall’esame dei conti di quest’anno, i magistrati della Corte dei Conti hanno tutta l’intenzione di ‘scrutare’ dentro lo ‘iato’determinato dai ‘tagli’ alla sanità pubblica (che ci sono stati!) e l’aumento complessivo della spesa per la stessa sanità.
Un secondo segnale può essere desunto dal lento sfilarsi della Cisl siciliana da una posizione più o meno governativa, prima verso una fase di ‘neutralità non belligerante’ e, poi, verso un’opposizione dettata dai vertici e, forse, non compresa dagli stessi segretari regionali dei vari comparti, a cominciare dalla Funzione pubblica. Emblematico quello che è avvenuto lo scorso dicembre. Quando il segretario generale dell’organizzazione sindacale dell’Isola, Maurizio Bernava, mentre i ‘suoi’ della Funzione pubblica ‘trattavano’ con Lombardo sulle stabilizzazioni del personale, li smentiva clamorosamente, sottolinenando che la priorità di un governo regionale non è la stabilizzazione dei precari, ma il rilancio dell’economia siciliana nel suo complesso.
Questo passaggio è importante, soprattutto per Lombardo, che fino ad allora aveva giocato, spesso, a delegittimare i suoi avversari in Sicilia provando – e qualche volta riuscendoci – a dialogare con i vertici romani dei vari partiti. Con la dichiarazione di Bernava avveniva l’esatto contrario: era il segretario generale della Sicilia a ‘mollare’ il governo Lombardo, creando non poche difficoltà alla stessa Funzione pubblica regionale, forse non sufficientemente (e volutamente?) avvertita dei nuovi ‘giochi’ in corso. Lombardo, che fino ad allora aveva trattato con Roma per delegittimare alcuni suoi avversari politici in Sicilia, veniva delegittimato dal segretario generale della Cisl siciliana che, di certo, non rilasciava una dichiarazione così importante senza un collegamento romano.
Siamo arrivati a un punto centrale di questa fase politica. E’ evidente che, a Roma, anche in ragione di quello che sta avvenendo nello scacchiere politico nazionale, sono in corso ‘movimenti’ e ‘riassestamenti’ che non escludono una ricomposizione al centro di forze politiche, gruppi e finanche singoli esponenti politici di estrazione moderata.
In questa ricomposizione, è evidente, c’è la Sicilia – che gioca, come spesso è avvenuto nel nostro Paese – un ruolo importante. Ma non c’è Lombardo con il suo governo.
Due, almeno per ora, gli elementi che lo fanno pensare. Il primo elemento è l’uscita dell’Udc di D’Alia dal governo regionale negli ultimi giorni dello scorso dicembre; e il passaggio all’opposizione dello stesso partito annunciato ieri. Il secondo elemento che posiziona Lombardo fuori dalle possibili ‘ricomposizioni’ romane è la doppia impugnativa operata dal commissario dello Stato. Che si ricollega, in modo un po’ ‘sinistro’ per lo stesso governo regionale, alla già ricordata presa di posizione dell’autunno scorso della Corte dei Conti. Le due impugnative, infatti, pur sussistendo vari quanto possibili profili di incostituzionalità, si sono incentrate, in entrambi i casi (e non a caso), sulla mancata copertura finanziaria.
Comincia, insomma, ad apparire evidente la volontà non di una parte politica, ma di tutta la politica – non esclusa quella romana: anzi – di guardare al governo con un certo distacco. Con molta probabilità, Lombardo ha tirato troppo la corda. E questo, ormai, ha finito, da un lato, con l’isolare lo stesso governo dell’Isola e, dall’altro lato, col ricompattare forse politiche, anche con obiettivi diversi, su un fronte comune.
Del resto, la risposta data dallo stesso Lombardo, a fine dicembre scorso, all’uscita dell’Udc dalla giunta è apparsa fragile e caratterizzata – e questa, come già accennato, non è storia nuova – da assenza di strategia politica. Pensare, come ha fatto il presidente della Regione, di affrontare una complessa questione di prospettiva politica con il ‘bilancino’ delle poltrone di assessori e di dirigenti generali dà la misura, purtroppo tragica, non solo di deficit in termini di capacità di governo – e questo è già politicamente grave in una regione, la Sicilia, dai mille problemi irrisolti – ma anche di incapacità di guardare al contesto politico in una dimensione culturale strategica. Fermo ancora al Terzo polo, a Lombardo sembra sfuggire che il mondo dei moderati italiani – e non solo siciliani – è ormai ben oltre il Terzo polo.
Il futuro, per il governo Lombardo, in questa persistente condizione di assenza di strategie, non si annuncia semplice. Forse il presidente della Regione, non ‘gratuitamente’, riuscirà a bloccare il referendum del Pd sul suo governo. Ma, a parte i problemi interni al Pd siciliano, che si accentuerebbero, Lombardo non risolverebbe comunque le questioni legate al dato politico generale.
In prospettiva c’è il bilancio, che non si annuncia un passaggio facile. Soprattutto se il gioco di prospettiva politica guarda già ‘oltre’ lo stesso governo Lombardo al quale rimane solo la debole alleanza con un altrettanto debole Pd siciliano. Davvero poco per governare una regione come la Sicilia.

 

 

 

Giulio Ambrosetti

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