E’ un giallo avvincente l’ultimo romanzo di Toi Bianca, “Dove finiva via Pitia”, la storia di un disincantato cronista di provincia alle prese con un misterioso delitto in una torrida estate siracusana. Pagine che alternano la suspence al registro lirico, dove la musica è una presenza costante. Abbiamo intervistato telefonicamente l’autore, siracusano, 51 anni, che per oltre vent’anni ha fatto vita di redazione nei giornali della sua città.
Il suo romanzo è stato definito un noir ecologico-sentimentale. Perché ha scelto il giallo come genere narrativo?
La risposta più semplice potrebbe essere perché non riuscivo a cimentarmi con altri generi. Ma in verità a me piacciono molto i gialli dell’ultima generazione, come Manuel Vàzquez Montalbàn, che oggi si chiamano noir, che raccontano il contesto, la società, la vita delle persone con il pretesto di una trama. Il thriller è il filo rosso che consente di mantenere una visione certa e unitaria della narrazione.
Che cosa l’ha spinta ad ambientare il suo romanzo a Siracusa? Un omaggio nostalgico o una denuncia del degrado ambientale siciliano?
Né l’uno né l’altro. Non si tratta di un contributo nostalgico perché ho scritto due terzi del libro quando ancora vivevo a Siracusa. Più che altro si tratta di un’“arrabbiatura indigena” per la patria vicina. Non è neppure una denuncia perché non ho scoperto novità clamorose ma cose che tutti sanno e che accadono anche in altre città d’Italia: gli scempi urbanistici. Il fatto che Siracusa sia la mia città (e il quartiere in cui avviene l’omicidio è quello dove sono nato) ha contribuito a dare pathos alla narrazione.
Quella di Tony Rossitto è una storia che sarebbe potuta accadere anche in un’altra città?
No, ma la mia è una valutazione soggettiva. Mi rendo conto che si sarebbe potuta svolgere anche in un’altra città con problemi di inquinamento, ma sicuramente sarebbe stata un’altra storia.
Il sarcasmo è un’arma di difesa per il protagonista? Quanto c’è di autobiografico in quest’ironia?
Il sarcasmo è parte di me e l’ho travasato in Rossitto. E’ un modo estremo di vedere la vita, il suo, di costruirsi una corazza che per un giornalista come lui, che passa la vita a scrivere di morti ammazzati, è utile per sopravvivere. Si tratta comunque di una barriera facile da scalfire, oltre la quale c’è un’anima viva.
Scrivendo questo libro, ha pensato a un pubblico preciso, a un lettore ideale?
Mi aspetto che la gente lo legga e si appassioni e si emozioni. E’ questa la funzione alta della letteratura. Non sono uno di quelli che legge i libri perché sono didascalici o perché aiutano ad acculturarsi o perché vi si trovano significati profondi: io amo i libri che appassionano.
Che cosa si aspetta da questo suo romanzo: successo personale, attenzione verso una crescita equilibrata delle città, rivalutazione del ruolo di cronista?
Certo, sarebbe bello diventare uno scrittore famoso ma penso che sia un’ipotesi recondita. Se si riuscisse a rivalutare la figura del cronista di una volta mi farebbe senz’altro piacere.
Le tematiche ambientali sono state recentemente al centro di dibattiti a livello mondiale e proprio a Siracusa si è svolto il G8. Ritiene che le decisioni prese possano avere un’attuazione concreta o si tratta di discussioni sterili?
Non sono discussioni sterili. Le problematiche ambientali sono di una complessità tale che pensare che si possa decidere tutto in una riunione è ingenuo. Il processo di intesa globale è complesso, fatto di mille passi. A dicembre ci sarà la conferenza Onu di Copenaghen che dovrebbe fissare gli obiettivi post-Kyoto e il contributo del G8 ambiente è stato forte in questa direzione: per la prima volta tutti hanno concordato che tutti devono fare qualcosa. Il protocollo di Kyoto, infatti, non ha impegnato paesi come Cina, India e Stati Uniti che sono proprio i principali attori della questione, i principali responsabili dell’immissione di CO2 nell’atmosfera.
(A cura degli studenti del Medialab sul giornalismo culturale)
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