Lo ‘schiavo’ venuto dal Ghana

Proseguiamo il nostro viaggio nelle strade del centro di Palermo. Oggi raccontiamo la vita degli immigrati per dare voce ad una comunità spesso inascoltata che affronta una realtà di negazione dei diritti umani fondamentali. La testimonianza è di un ‘sanspapier’ proveniente dal Ghana, che si trova a combattere da molti anni per avere un contratto, un permesso di soggiorno, tra burocrazie impossibili e promesse mancate. Da ‘imbustatore’ in un supermercato a lavavetri, parleremo delle difficoltà che incontra ogni giorno un migrante in una società che non si accorge di lui. Ma anche dei suoi desideri, dei sogni per il futuro. Lo scopo del nostro racconto è sensibilizzare le coscienze per far fronte alle gravi ingiustizie che vivono gli immigrati e porre fine agli atti di razzismo nei loro confronti.
In un distributore di benzina, a pochi chilometri dal centro cittadino, incontriamo Joe. Non parla l’italiano e decidiamo di comunicare in inglese per facilitare l’intervista. Vuole rimanere in anonimato, per questo gli diamo un nome di fantasia.

– Come si svolge la tua giornata lavorativa?

“Passo tutto il giorno in questo distributore. Certe volte rimango fino a mezzanotte”.

–  Perché hai deciso di venire in Italia?

“Per trovare lavoro”.

– Hai sempre lavorato qui?

“Prima lavoravo in un supermercato per aiutare ad imbustare la spesa”.

– Quanto guadagni facendo questo lavoro?

“Dalle trecento alla quattrocento euro, dipende dal mese. Ho una moglie e due figli che vivono in Ghana. La metà dei soldi la invio a loro”.

– Quindi vivi in media con 150 euro al mese. Circa cinque euro al giorno.

“Sì, circa. Se consideri poi che pago cento euro d’affitto…”.

– Dove vivi?

“Qua vicino, con quattro ragazzi del Ghana. Condividiamo due stanze”.

– E in Ghana cosa facevi?

“Ero elettricista. Ho frequentato la scuola di specializzazione per elettricisti”.

– Hai mai lavorato come elettricista qui a Palermo?

“No, perché non ho i documenti e per questo non mi danno il lavoro”.

– Quindi non hai un permesso di soggiorno.

“No, non ce l’ho. Sai com’è qui, se non hai un contratto di lavoro non ti danno il permesso. C’è una persona che mi vuole assumere. Siamo andati alla Prefettura insieme. Però il mio datore di lavoro non raggiunge il reddito stabilito. Non è colpa mia se lui non raggiunge il reddito giusto per farmi un contratto. In più devo pagare 500 euro per fare la domanda se voglio avere il permesso (di soggiorno ndr)”.

– Ci sono degli sportelli per aiutare gli immigrati dove potresti andare. Sai qualcosa a riguardo?

“No, non li conosco. E’ da tre anni che voglio i miei documenti, ma non c’è possibilità. Senza documenti non posso tornare a casa per vedere la mia famiglia e mia moglie non può venire qui”.

– Come ti trovi a Palermo con la gente del luogo?

“Tutto sommato bene. Alcune persone cercano di aiutarmi. Altre si comportano peggio”.

– Hai subito mai degli atti di razzismo nei tuoi confronti?

“Sì, qualche volta. Alcune settimane fa mi hanno dato uno schiaffo mentre andavo in bicicletta. E capita che mi tirino delle uova”.

Joe ha trentaquattro anni e vive da tre anni e mezzo a Palermo. Il suo obiettivo è mantenere la famiglia nel paese di origine e mettere da parte qualcosa per tornare a casa. Racconta la sua storia con emozione e ci confida che il suo sogno è poter tornare in Ghana, almeno una volta all’anno. Non può farlo per la condizione di clandestinità nella quale vive. Ci colpiscono il suo sguardo, sincero e profondo, e le sue mani, che raccontano una storia di lavoro e dedizione. Come Joe, molti immigrati si trovano in questa sorta di limbo. Da un lato, non hanno accesso ad un contratto di lavoro per essere sanpapier. Dall’altro, non vedono riconosciuto il diritto ad un permesso di soggiorno, perché senza un contratto regolare. Un circolo vizioso al quale è difficile porre fine se non con delle serie politiche sociali che aiutino la reale integrazione dei migranti e il loro effettivo inserimento nel modo del lavoro.

 

Valeria Vilardo

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