L’Italia fuori dall’euro? Un disastro

Il mercato finanziario ed il mondo delle valute è un insieme di “segni” che si reggono sul fragile basamento della “fiducia nelle prospettive”. Il mio non vuole essere l’esordio di una definizione astratta e cervellotica, ma una semplice constatazione. Fate una prova, aprite il vostro portafoglio e cominciate ad osservare bene un foglio di cartamoneta; che sia da 5 euro o da 50 euro non importa: è lì, proprio quel foglio.
Qual è il suo valore? Intrinsecamente nessuno: non lo potete bere, non lo potete masticare, non potete usarlo come vestito o come ornamento del corpo. Esso vale e viene da voi rispettato in quanto, uscendo da casa vostra, l,o potete convertire in una bevanda, in cibo, in vestiti ed ornamenti della persona. Vale tanto di più quanto vi consente di comprare più cibo, più bevande, più vestiti eccetera.
Lo stesso vale quando uscite dai confini dell’unione monetaria e lo usate, magari attraverso un cambio valuta, per acquistare beni e servizi. In questo caso, più valuta estera acquisite, più vale la vostra valuta. In entrambi i casi il valore di conversione della vostra carta in beni o servizi è il valore effettivo della stessa e, siccome a voi perviene per una prestazione che avete fatto (il lavoro) o per un bene che avete venduto (permuta patrimoniale) esso denomina il valore della vostra stessa prestazione e del paniere dei beni vendibili che possedete.
Se viveste in un mondo chiuso, privo di rapporti con l’estero, la vostra moneta cartacea potrebbe moltiplicarsi nel numero scritto sulla carta infinitamente senza cambiare la vostra posizione relativa rispetto agli altri vostri concittadini: è come giocare a poker dando un valore a scelta alle vostre fiche od a monopoli per comprare e vendere le casette di carta. Appena il vostro mondo entra in contatto con altri mondi economici e valutari, succede quello immaginate: il paragone della capacità di spesa della vostra valuta vi fa scoprire in quale posto sedete della graduatoria della ricchezza pro-capite.
Quando ero giovane, tanti anni fa, non sapevo che la mia bicicletta era un mezzo di locomozione povero e lento: lo scoprii quanto vidi le prime moto dei mie cugini più ricchi e la prima macchina del vicino (una 600 Fiat). Il nostro mondo, in questo terzo millennio, è “connesso” in ogni istante. Il nostro mondo, in questo terzo millennio, dipende assolutamente dall’energia. In ogni istante, il variare delle pretese dei Paesi produttori di energia fa oscillare la nostra posizione relativa sulla scala delle ricchezze unitarie e dell’intero territorio. Così vale per ogni oscillazione attinente a materie prime, manufatti a tecnologia estera, beni di consumo importati dall’estero.
Il cambio diventa quindi la nostra bussola e la nostra maledizione: ma il cambio altro non è che una previsione di “prospettiva” che fa chi riceve la nostra moneta dando in cambio la propria o – ancor meglio – dando in cambio beni reali. Oggi vendo all’Italia un barile di petrolio a 100 dollari e l’Italia lo paga a 80 euro: chi riceve gli 80 euro deve essere convinto che con questa moneta abbia oggi o un domani la possibilità di acquistare dall’area euro beni che abbiano per lui il valore equivalente o maggiore al barile di petrolio.
A maggior ragione quando converte la moneta in titoli obbligazionari dell’area euro, siano essi emessi da una nazione o da una società quotata in borsa. Oggi questa fede nel futuro del valore di una valuta si è interrotta. Forse si è interrotta per un’ondata di pessima comunicazione anche fatta ad arte: il problema è relativo mentre l’effetto è visibile.
Certamente, quando esce la notizia che il Fondo Monetario Internazionale si appresta a dare all’Italia una linea di credito di circa 600 miliardi di euro, ognuno di noi fa un semplice calcolo: l’Italia ha un debito verso l’esterno di circa 2.000 miliardi di euro. Ogni anno scadono rate di questo debito e, se non si hanno i soldi per pagarlo, lo Stato lo rinnova rivolgendosi al mercato finanziario.
Per il 2012 e 2013 lo Stato italiano dovrà attingere al mercato finanziario mondiale circa 700 euro per rinnovo del debito che non può pagare a saldo. Per pagarlo a saldo dovrebbe attuare una manovra biennale da 700 miliardi di euro: oggi appare grave che si appresti ad una manovra biennale che pesa un decimo!
Il mercato ha prima reagito chiedendo un tasso più elevato: questo comporta che nel 2012 e 2013 lo Stato debba ricorre al mercato finanziario per cifre maggiori. Se noi passiamo da un tasso medio del 4% (interessi passivi per circa 80 miliardi annui) ad un tasso medio dell’8% (interessi passivi per circa 160 miliardi) la manovra correttiva diventa un pannicello caldo. Ogni giorno, quindi, il governo deve rifare i calcoli di prospettiva e tace sui provvedimenti.
Drenare al popolo 40 od 80 miliardi significa azzerare consumi per altrettanto: la moneta infatti va a coloro che hanno sottoscritto i titoli di Stato, che per il 40% sono investitori esteri., per il pagamento a questi ultimi la moneta non circola più al nostro interno e ciò genera un effetto depressivo. I nostri negozi non vendono, le case rimangono sfitte, i costruttori non vendono e così via.
Ma il tasso che aumenta porta alla conseguenza che anche le banche devono comprare denaro all’8%. Poiché le banche agiscono sul breve termine (pensate ai finanziamento alle imprese) il primo effetto lo ha il nostro apparato produttivo. Si trova un costo del capitale maggiore e utili parallelamente inferiori.
Poi i nostri ben pensanti si scagliano contro le “rendite finanziarie” pretendendo che siano ipertassate: ciò aumenta il loro costo d’uso per le banche e, quindi, per le nostre imprese. Ancora non si è capito che il capitale finanziario ha per patria il mondo e con un click di internet può essere istantaneamente trasferito in una qualunque Paese della terra!
Allora arriviamo alla catarsi finale: torniamo in grembo alla nostra mamma, ritorniamo all’epoca della lira. Ma la carta moneta non ha un valore di per sé, la lira dovrà misurarsi sui mercati valutari in termini di cambio. E perché mai lo sceicco arabo dovrebbe accettare lire per un barile di petrolio raro? E perché mai l’investitore dovrebbe sottoscrivere un’obbligazione in lire se non ha più fiducia nell’obbligazione emessa in euro?
La sfiducia non avviene nei confronti di un pezzo di carta, bensì verso la nostra nazione, verso di noi che sembriamo ogni giorno di più incapaci di gestire la nostra finanza, come fanciulli sciocchi e scervellati che spendono la paghetta in caramelle mentre non hanno la casa per abitare e vestiti per ripararsi.
Ritorniamo alla catarsi: un giorno, spero mai, il governo annunzia che si avvia daccapo la circolazione parallela di euro e lira. Dovremo allora fare i conti con il cambio all’interno nostro: quante lire per quanti euro?.
Il mondo finanziario, che certamente non è composto da sprovveduti, avrà la prova che ci accingiamo a svalutare il nostro stock di debito di 2.000 miliardi (al cambio vecchio circa 4 milioni di miliardi). Imporrà allora condizioni per il debito esistente e non sottoscriverà i nuovi titoli. Avremo allora una crisi finanziaria di tutta la ‘macchina statale’, che potrà erogare stipendi al 50% come la Grecia.
In queste condizioni, il potere di sopravvivenza delle famiglie sarà drasticamente ridotto e chi ha titoli di stato (il 60% dello stock di debito) li dovrà svendere per fare cassa e pagare viveri e mutui. Dovremo dire al nostro proprietario di casa che non possiamo pagare il fitto se non al 50% se va bene. Ridurremo pizze e pranzi, i ristoranti crolleranno. Ridurremo le vacanze: alberghi e mondo del turismo crollerà, la disoccupazione incrementerà.
Il mondo allora dovrà scegliere come ha fatto per la Grecia: dare ossigeno al debitore Italia in crisi sino al limite di non far precipitare il Paese in una guerra civile, come stava succedendo in Grecia. Forse ci scapperà qualche morto. Certamente dovremo rinunziare a telefonini e tre macchine per famiglia: almeno vivremo con maggior silenzio!
Sono nato nel 1947, a ridosso delle macerie della seconda guerra mondiale. Ricordo ancora le case modeste e con interni bui, la luce di lampade fioche che si spegnevano rigorosamente alle 9 di sera, poi tutti a dormire. Si lavorava sabato e domenica, si allevavano animali da cortile per integrare la dieta, moltissimi usavano riutilizzare i vestiti dei grandi per vestire i piccoli. Con serenità e tanta dignità!
Ogni tanto rivedo qualche film d’epoca in bianco e nero. Mi sto abituando a pensare che forse non si viveva così male. Ho un grande ricordo di mia Madre per come gestiva la paga di mio Padre. Certamente mi spiace far rivivere ai miei figli una terza guerra mondiale combattuta con il carro armato della moneta e non con le pallottole vere; tutto sommato però è una fortuna: non si muore nel sangue, al massimo si sentirà un maggior languore allo stomaco.
Stiamo vivendo una terza guerra mondiale di tipo finanziario nella quale le conquiste si fanno indebolendo le monete e non bombardando le città per fiaccare il morale del popolo. Al posto di generali abbiamo finanziari, con un potere distruttivo cento volte maggiore.
Attenzione però, la morale è sempre la medesima: si perde la guerra se si perde la fiducia e la volontà di combattere. Se si perde questa guerra si perderà una libertà rara: quella di creare lavoro per volontà nostra e di lavorare dove riteniamo in base a nostri progetti.
Non appartengo, per questi motivi ai nostalgici della lira e sono ritornato a lavorare sabato e domenica, così, per allenarmi al peggio sperando nel meglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Giuseppe Frisella

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