“In principio erano le suffragette”. Potrebbe cominciare così, questa storia. Se non fosse che è all’Italia che stiamo guardando. Al “Bel Paese”. All’Italia dei poeti, dei pittori, dei grandi inventori, dei filosofi, dei romanzieri, degli esploratori e – chi lo nega – dei grandi amatori. Ma non all’Italia al femminile. Non all’Italia delle italiane. Perché se grandi italiane sono esistite (e siamo certi che sia così), fino al 1880 o giù di lì (quando le mondine padane si ribellarono – prime in assoluto, nel Paese – alle dure condizioni di lavoro) nessuno sembra essersene accorto.
Bisognerà aspettare il 2 giugno 1946, la fine della Seconda Guerra Mondiale, perché alle italiane venga finalmente concesso il diritto di voto. E prima? Prima, per lo meno in Italia, era successo ben poco, al riguardo. O se qualcosa si era mosso, se qualche rivendicazione era stata avanzata, le nostre Istituzioni avevano pensato bene di respingerla al mittente. Basta ricordare che la Camera dei Deputati non tenne minimamente in considerazione la proposta dell’onorevole Morelli volta a modificare la legge elettorale che escludeva, a unificazione appena avvenuta, dal voto politico e amministrativo le donne “al pari di analfabeti, interdetti, detenuti in espiazione di pena, e falliti”.
Vero è che non sono moltissime le donne che si interessano dei propri diritti fino al 1879, anno in cui Anna Maria Mozzoni fonda una Lega promotrice degli interessi femminili . Lega che resta un caso isolato, e che solo nel 1897 viene affiancata dall’ “Associazione nazionale per la donna” (a Roma), solo nel 1899 dall’ “Unione femminile nazionale” (a Milano) e solo nel 1903 dal “Consiglio Nazionale delle Donne Italiane” (aderente al “Consiglio Internazionale Femminile”). È da tenere presente, inoltre, che solo nel 1874 era stato ufficialmente permesso l’ingresso delle donne ai licei e alle università italiane, e che nonostante questo le iscrizioni femminili continuarono a essere respinte per molto tempo ancora. Per non parlare del fatto che a dispetto del titolo di studio tanto sudato, non sempre (anzi, quasi mai) l’accesso alle professioni era garantito.
Un dato impressionante, se si pensa che risalgono al 1848 le lotte delle suffragette statunitensi, francesi e inglesi per il diritto di voto (le inglesi conquisteranno il voto nel 1918, le americane poco dopo).
“L’emancipazione femminile è la suprema, la più vasta e radicale delle questioni sociali, capace di unire le donne di tutti i ceti per la causa della loro libertà e del loro riscatto”, sosteneva la Mozzoni. Eppure nel 1910 il Partito Socialista si pronunciava contro il voto alle donne, mentre dalla Russia la compagna Anna Kuliscioff difendeva il suffragio femminile (quasi presentendo la nomina della connazionale Aleksandra Kollontaj a ministro – la prima al mondo! – del governo bolscevico).
Con la Prima Guerra Mondiale sembrava che le donne di tutta Europa avessero finalmente acquistato nuova importanza e nuovo peso sociale, costrette a sostituire nel lavoro i fratelli, i mariti e i padri mandati al fronte. Eppure con la fine della guerra, per lo meno nel nostro Paese, le donne, accusate di rubare lavoro ai reduci, persero in gran parte i loro posti.
Timidi tentativi di inversione di tendenza furono le proposte di legge del 1919 e del 1920, fallite perché le Camere vennero sciolte prima che il Senato potesse approvarle. Inutile dirlo, con l’avvento del fascismo, le speranze del suffragio universale femminile svanirono: “Lo Stato fascista aveva realizzato finalmente l’eguaglianza tra i sessi privando tutti, maschi e femmine, dei diritti politici”, ironizza la storiografa Simona Colarizi.
Cosa cambia, dunque, nel 1946? Perché l’Italia dell’immediato dopoguerra decide finalmente di “fare come quasi tutto il resto del mondo”?
In realtà il primo vero indice di cambiamento era stato il decreto emanato dal governo Bonomi il 30 gennaio del ’45, mentre al Nord ancora si combatteva la Resistenza (nella quale, tra l’altro, le donne ebbero un ruolo fondamentale). Vuoi perché la guerra era ancora in corso, vuoi perché il problema in quel momento più urgente era quello dell’epurazione dei funzionari civili e militari da qualsiasi residuo fascista, il decreto, che prevedeva appena tre articoli (1. estendere il diritto di voto alle donne; 2.ordinare la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili; 3.escludere le prostitute che esercitavano “il meretricio al di fuori dei luoghi autorizzati” – il terzo articolo venne abrogato nel ’47), passò senza grossi problemi, senza suscitare alcuna discussione politica.
Quali motivi avevano portato al decreto? Il principale fu sicuramente la presa di coscienza, da parte di De Gasperi, Togliatti e Pio XII, che il voto delle donne avrebbe comportato un raddoppiamento dell’elettorato (15 milioni di voti in più, cifra tutt’altro che indifferente). Questo riuscì a vincere l’opposizione di buona parte dello stesso P.C.I., addirittura delle militanti comuniste, all’inizio contrarie all’estensione del suffragio perché timorose dell’influenza della chiesa sulle elettrici. È solo a questo punto che le dirette interessate, le italiane di vecchia e nuova generazione, cominceranno seriamente a lottare per i loro diritti e a mettere in moto il cambiamento, nella legge ma soprattutto nella mentalità del Paese.
Non ci sono dubbi che tra il ’46 e il ’48, il voto delle donne (non solo al Referendum, ma anche in occasione delle elezioni amministrative) abbia deciso l’equilibrio della Repubblica. Poco importa se, come sostengono alcuni, “Le italiane il voto se lo sono visto appioppare senza aver fatto nulla o poco per ottenerlo”, o se “Il voto alle italiane arrivò così, senza neppure un’eco delle battaglie femministe che avevano periodicamente contrassegnato i decenni dell’età liberale”.
Alcune tappe fondamentali della lenta evoluzione della condizione sociale e giuridica delle donne italiane, dal dopoguerra a oggi:
-1948: entra in vigore la Costituzione; secondo l’articolo 3 è bandita qualsiasi discriminazione in base al sesso, l’articolo 29 garantisce l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, l’articolo 31 protegge la maternità e le donne lavoratrici, secondo l’articolo 48 uomini e donne possono votare, secondo l’articolo 51 uomini e donne posso accedere agli uffici pubblici e alle carriere elettive in condizioni di uguaglianza.
-1950: varata la legge che tutela le donne lavoratrici e madri.
-1964: le donne sono ammesse alla magistratura.
-1969: l’adulterio femminile non è più considerato reato.
-1975: riforma del diritto di famiglia, d’ora in poi vige l’obbligo reciproco, tra i coniugi, alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale.
-1977: Tina Anselmi è la prima donna ministro.
-1978: viene approvata la legge sull’aborto.
-1979: Nilde Jotti prima donna presidente della camera.
-1989: le donne sono ammesse alla magistratura militare.
-1992: la legge stabilisce che il 30% dei candidati nelle liste per le elezioni amministrative siano donne.
-1996: lo stupro è riconosciuto come delitto contro la persona (non più solo contro la morale, come in precedenza).
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