Angela Caponnetto è una giornalista siciliana. Per Rainews24 segue gli avvenimenti del Mediterraneo e racconta l’epocale flusso migratorio che si muove verso l’Europa. La fondazione La città Invisibile, che si occupa di inserimento di minori nel tessuto sociale attraverso la musica, ha istituito otto anni fa il premio Bianca di Navarra (dedicato alla saggia e affascinante regina del Quattrocento), consegnato a donne «simbolo di vitalità, bellezza e fortezza d’animo». Quest’anno il riconoscimento è andato proprio a Caponnetto, che «ha documentato la speranza nei volti e nelle storie di migliaia di profughi». La speranza era il tema prescelto – «non retorico, ma sostanziale» assicurano gli organizzatori.
La speranza non è ancora definitivamente annegata nel Mediterraneo?
«Stiamo assistendo ad una chiusura dell’Europa e la speranza apparentemente sembra scemare. Eppure noi, che raccontiamo le migrazioni, abbiamo quella di allargare la mente di chi ci ascolta. A fronte della chiusura della politica, raccontare l’apertura ai migranti. La speranza è sopratutto delle persone che continueranno a partire, nonostante le scelte dei nostri governanti. Con la disperazione, oltre che con la speranza, sfonderanno i muri che stanno costruendo, perché non possono più tornare indietro, i governi dovranno cedere di fronte all’evidenza».
Nel frattempo le reti di trafficanti di uomini lucrano incontrastate.
«Per interrompere lo scempio della tratta, la soluzione è creare corridoi umanitari, non certo muri. Più si innalzano, più i trafficanti li superano illegalmente. Sono organizzazioni con reti capillari difficilissime da individuare e particolarmente estese. Controllano quattro tappe della migrazione: i paesi d’origine, l’approdo forzato di Libia o Turchia, quindi la Sicilia o la Grecia, infine il nord Europa. Spesso i migranti partono con in tasca un elenco di numeri: alcuni appartengono a membri delle organizzazioni di trafficanti. Non sono legati a dei nomi ed è difficile intercettarli. Le organizzazioni criminali locali (Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra) inoltre collaborano al flusso».
I migranti giungono in Sicilia dalla Libia; i droni di Sigonella compiono il percorso inverso. È il prossimo conflitto con intervento italiano?
«In questo momento è una sorta di pre-guerra, giocata con gli 007 prima dell’invio delle truppe ufficiali, che potrebbe avvenire prima dell’estate. In questo momento la descrizione dell’Isis fa anche comodo. Il paese è nel caos e gli interlocutori dell’Europa, impegnati in un sanguinoso scontro interno sono molto poco affidabili».
L’altro paese da cui passano i migranti, in questo caso la rotta orientale, è la Turchia, sovvenzionata dall’Ue.
«La Turchia, a me, fa più paura della Libia. Vuole entrare nella comunità europea, imponendo le sue regole, quelle del bavaglio. L’Europa invece è nata fondandosi su valori antichi di democrazia. Non possiamo cedere a questo ricatto».
I canali umanitari possono essere davvero la soluzione per evitare altre morti?
«Sono l’unica soluzione. Bisogna ammettere che non tutti hanno diritto d’ingresso in Europa. Sarebbe fondamentale creare delle aree di smistamento e controllo, ad esempio in Libia, riconoscendo chi ha realmente diritto d’ingresso, che potrebbe poi attraversare il Mediterraneo in sicurezza».
Nulla di ciò è previsto nel trattato di Dublino III.
«Quel testo dimostra il fallimento della politica migratoria dell’Europa. Costringe l’Italia e la Grecia a trattenere un’enorme massa umana. Ma i due paesi non ne hanno la forza e, soprattutto, i migranti non vi vogliono rimanere. L’Italia chiede con forza la revisione del trattato, non per bontà, ma perché conviene. Se ne discute da più di un anno, senza arrivare ad un punto».
Le leggi sono inadeguate solo in campo internazionale?
«Un altro fallimento è il reato di immigrazione clandestina. Sono ottimista, credo che prima o poi verrà stralciato formalmente. Sia la Bossi-Fini che la Turco-Napolitano sono giunte al punto d’arrivo. Hanno prodotto i Cie: lì ho visto ragazzi appena arrivati convivere con veri delinquenti».
Adesso invece esistono gli hotspot.
«Su Hotspot e Cie avevamo il sospetto che fossero simili. Purtroppo non fanno entrare nemmeno i giornalisti. L’hotspot rischia di diventare una galera temporanea».
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