«Affidati a Paolo, significa che sono io». Paolo è Paolo David, il consigliere comunale, ex capogruppo del Pd a Messina, arrestato ieri per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale. A pronunciare la frase sarebbe invece Francantonio Genovese, non indagato dalla procura ma onnipresente nel lungo capitolo che il gip, motivando gli arresti di 35 persone, dedica ai rapporti tra mafia e politica.
Le parole con cui Genovese avrebbe investito David di pieni poteri nella ricerca di voti vengono intercettate il 15 gennaio 2013, circa un mese prima delle elezioni nazionali in cui lo stesso Genovese verrà eletto alla Camera. Il consigliere comunale sta parlando al telefono con una donna e le racconta del contatto avuto con Antonino Gazzara, commissario straordinario del Consorzio autostrade siciliane. «Sono andato da Gazzara – dice David – lui ha chiamato a Francantonio […] per vedere come si doveva muovere… E Francantonio gli ha detto “affidati a Paolo”, minchia mi ha detto vieni quando vuoi Paolo, scusami, io mi sono permesso perché non avevo capito». E poco dopo il consigliere ribadisce al telefono: «Non è che gli dice: “sì, non ti preoccupare”, (ma, ndr) “affidati Paolo, significa che sono io”».
Secondo il gip l’interessamento di David con il commissario del Cas è volto a ottenere appalti dall’ente pubblico, da scambiare con altri soggetti procacciatori di voti. Il tutto sarebbe stato possibile grazie agli influenti contatti di Genovese. Stessa cosa nel settore sanitario, dove sarebbe Giuseppe Picarella, medico titolare di centri estetici e case di riposo, l’elemento chiave che avrebbe «garantito l’assunzione degli elettori di Genovese, Rinaldi (deputato nazionale e cognato di Genovese, ndr) e David». Assunzioni trimestrali in cambio di un pacchetto da dieci voti. David, intercettato, lo definisce «il gioco»: «Consiste – scrive il gip – nel fare assumere una persona per tre mesi in modo che il beneficiato si darà ancora più da fare nell’attività di procacciamento di voti al fine di garantirsi il rinnovo del contratto di lavoro». Il consigliere, al telefono, lo spiega usando un registro differente: «Ora si deve mettere a pecorina e si deve mettere a correre di più, compare c’è la possibilità, gli scade il contratto ora per tre mesi, gli faccio fare tre mesi, sei mesi, capisci?», spiega a un ufficiale medico dell’esercito.
E lo stesso Picarella si dimostra dedito alla causa. Intercettato poco prima delle elezioni amministrative in cui David verrà eletto, il medico dice al futuro consigliere: «Ho detto… Guardate (rivolto ai suoi dipendenti, ndr) se non vi date da fare perdete il posto, così senza mezze parole». A godere delle assunzioni di Picarella sarebbe stato anche il comandante della stazione dei carabinieri del quartiere Giostra, Lorenzo Papale (non indagato ma intercettato dagli investigatori), che avrebbe garantito alcuni voti a David in vista delle amministrative in cambio di un lavoro per la nipote.
Quale sarebbe stato il vantaggio di Picarella? Secondo gli inquirenti un canale privilegiato all’assessorato regionale alla Salute. Sempre grazie al deputato ex Pd. «È certo – continua il giudice – che l’onorevole Genovese ha messo in contatto Picarella con il funzionario regionale Marco Fiorella (non indagato, ndr), in servizio presso l’assessorato alla Salute». Una fitta rete, definita «il sistema», al cui vertice ci sarebbe il consigliere arrestato.
Quest’ultimo, per ottenere i voti, si avvarrebbe in particolare dell’aiuto di Angelo Pernicone, detto Berlusconi, e del figlio Giuseppe. Entrambi sono accusati di associazione mafiosa e sono gravemente indiziati di far parte del clan messinese di Santa Lucia sopra Contesse. Sono loro per il magistrato ad aver «costituito un efficace canale di procacciamento dei voti, costituito da persone talmente disperate da accontentarsi di una busta della spesa o di 50 euro a fronte del proprio voto». In un caso gli alimenti vengono trasportati anche con un’ambulanza intestata a Città di Messina onlus.
Un metodo che avrebbe portato benefici anche a Genovese e Rinaldi. Il 29 ottobre del 2012 (il giorno dopo le elezioni regionali in cui Rinaldi viene eletto con oltre 18mila preferenze), Pernicone, prima di recarsi alla segreteria politica dei due deputati, commenta l’esito del voto con la moglie: «Si devono mettere a culo a ponte con me». Secondo il giudice il dialogo tra marito e moglie proverebbe che la distribuzione delle buste della spesa era funzionale a compare voti. «Più di 10mila voti… Minchia», attacca la donna. «Certo ma non solo a Messina, a Messina e provincia», replica Pernicone. «In provincia va bene, ma loro non è che hanno fatto solo quella spesa, chissà a quante altre persone gliel’hanno fatta». «Va bene, ma che c’entra, a me ha dato quella, pare che ha fatto solo quella…», conclude l’uomo. Pochi giorni dopo l’elezione di Rinaldi, Pernicone chiama David per chiedere l’assunzione della nipote.
Pernicone è presente alle manifestazioni elettorali a fianco di David e in alcune di queste occasioni parla direttamente con Genovese. In più, per le Regionali del 2012, sarebbe stato l’organizzatore di diversi eventi. Compreso il momento clou: il comizio di Rosario Crocetta a Messina. «Angioletto – dice David al telefono con Pernicone – mi diceva Francantonio domani sera alle otto e mezza al Duomo perché c’è Crocetta che ti vuole parlare». In quell’occasione al figlio di Pernicone, Giuseppe, sarebbe stato addirittura affidato il servizio d’ordine.
Rinaldi e Genovese non sono indagati. Ma il gip scrive che «i due onorevoli possono avere avuto contezza del metodo utilizzato per procacciare consensi a vantaggio del partito d’appartenenza» e sottolinea che questo «plausibile spunto investigativo è meritevole di approfondimento». D’altronde è lo stesso David che tenta di tenere lontani alcuni procacciatori di voti da Genovese. «Non è che adesso – dice il consigliere al telefono – spuntato sti due… e dicono “sai io voglio portare a tizio a parlare con Francantonio”. Francantonio è un leader, non è uno sciacquapalle di via Palermo».
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