L’intervista a Tony Catania, rappresentante FLC CGIL di Catania

Giunti in piazza Università, davanti la sede del Rettorato dell’Ateneo catanese, a risponderci alle nostre domande è stato Tony Catania della FLC CGIL che, dopo esserci presentati quali studenti/giornalisti di Step1, esordisce spontaneamente dicendoci:

 

“E’ importante cercare di avere più contatti tra studenti e sindacati dell’Università, perché per tante problematiche ci troviamo nella stessa situazione. Se ci sono disservizi nelle segreterie, li abbiamo noi lavoratori, ma li avete anche voi studenti. Quando trovate le lunghe file o quando non vedete registrata una materie nel vostro verbalino, quando non avete i crediti per iscrivervi all’anno successivo è dovuto al fatto che non riusciamo materialmente a sopportare più neanche l’ordinaria amministrazione. Questi sono solo alcuni esempi che vi posso fare, ma ve ne potrei fare tanti altri.”

 

Da quanto tempo siete qui e perché?

“Noi siamo qui da giovedì 5 gennaio, giorno e notte a presidiare questa piazza. Le motivazioni sono semplicissime e chiarissime: noi giorno 4 di questo mese abbiamo avuto un incontro con il Rettore, abbiamo presentato una piattaforma organica dove chiedevamo alcune cose, le basilari per noi sono tre. Le condizioni sono imprescindibili, se non si accettano quelle, la tenda da qua non si smonta.

 

  1. Il primo punto che a noi interessa è l’aumento delle ore lavorative. Attualmente siamo a 18 ore lavorative, abbiamo fatto la richiesta di portare le ore lavorative a 36. Le 36 ore lavorative ci potrebbero permettere, come hanno chiesto gran parte dei dirigenti di questo Ateneo, di avere un adeguato riconoscimento economico per noi. Quindi dalle 480 euro che prende un collega B1, passeremmo a qualcosa di più, per vivere in modo più dignitoso e allo stesso tempo, siccome siamo diventati necessari nei vari luoghi di lavoro, permetterebbero ai responsabili di organizzare il lavoro in modo migliore rispetto a quello di adesso. Tanto personale dipendente nell’arco degli ultimi anni è andato in pensione, ma non è stato mai sostituito. Il lavoro che una volta lo facevano dieci persone, adesso lo devono fare in cinque. Considerando che con i corsi triennali, il lavoro si è triplicato rispetto a prima, con un aumento di iscritti, registrazioni esami, lauree, ecc…
  2. Altra motivazione cha abbiamo messo in piattaforma è l’avvio dei piani di fuoriuscita per i 34 colleghi ASU, anch’essi da prevedere con un rapporto orario di 36 ore settimanali. Quindi sia per i 151 PUC, sia per i 34 colleghi ASU, chiediamo un aumento di 36 ore lavorative.
  3. Ultima richiesta è il passaggio dei 41 colleghi PUC, categoria B1, alla categoria B2. Quindi una progressione orizzontale, un avanzamento di carriera che gli permetterebbe di percepire quei 10-20 euro in più. Sebbene questo sia previsto contrattualmente (l’articolo 56 vuole che dopo un anno, previa formazione, ci sia il passaggio da B1 a B2), l’amministrazione non vuole completamente sentire le nostre voci.

 

E’ da 4 anni che siamo in questa situazione. L’avanzamento di carriera lo abbiamo richiesto già tre anni fa , ma ancora oggi l’amministrazione non ha fatto nulla. Noi non vogliamo arrivare con una azione legale per portare questa amministrazione davanti al tribunale, un ufficio del lavoro o quant’altro. Però se loro non riescono a fare queste cose che sono già previste contrattualmente saremo costretti. Non vogliamo essere la controparte dal Rettore.”

 

Siete dunque i cosiddetti “articolisti”?

“Questi lavoratori sono tutti provenienti dall’ex-articolo 23, quindi parliamo di persone che hanno da 17, 16, 15 anni sono precari, alcuni sono all’interno di questa amministrazione da 10 anni, alcuni come me da 4 anni e diamo il nostro apporto lavorativo quotidianamente in tutte le strutture dell’ateneo: nelle segreterie studenti, nelle risorse umane, nel rettorato, in direzione amministrativa.”

 

Quali sono le tipologie di lavoratori atipici che rappresentate in questa sede?

“Le tipologie principali sono due: PUC (151 lavoratori, delle categorie B1, C1 e D1) e ASU (che sono 34). Entrambi le categorie, per un totale di 185 persone, provenienti dal bacino regionale dell’ex-articolo 23, distribuite in tutto l’ateneo, in tutte le strutture (facoltà, dipartimenti, ma principalmente nelle segreterie studenti).”

 

Invece, che mi dici della categoria definita “lavoratori delle cooperative”?

“Già parliamo di un bacino nazionale, del fondo nazionale dell’occupazione, quindi non ricadono nel bacino regionale, è un’altra strada. Con queste tipologie non possiamo seguire la strada della Regione Siciliana.”

 

Le risulta che in altre località ci siano situazioni di questo genere?

“Ieri partecipando ad un congresso regionale, abbiamo scoperto che a Palermo colleghi PUC come noi sono adesso a 36 ore settimanali. Si sono dovuti incatenare di fronte il Rettorato, e il Rettore è stato molto più sensibile rispetto al nostro.”

 

Chi paga i vostri stipendi?

“Il collega B1 percepisce 480 euro mensili (già cifra bassissima, sotto la soglia della povertà), di cui solo 48 corrisposti dall’amministrazione dell’Università, perché tutto il resto lo versa la Regione Sicilia. Quindi non si può dire che non ci sono soldi, se poi l’amministrazione fa collaborazioni esterne. Già il mese scorso sono partite 300 collaborazioni esterne trimestrali. Questi soldi che versa direttamente l’Università, perché non vengono utilizzate per aumentare le ore a chi attualmente è a 18 ore e ormai è professionalizzato nell’ambito di questa amministrazione e non darli a quattro illustri sconosciuti che vengono per tre mesi e poi vanno via.”

 

Abbiamo parlato parlato dei doveri, della mansioni di voi lavoratori, ma parlando dei diritti? Immagino non siano gli stessi dei colleghi assunti a tempo indeterminato.

“C’è una situazione duplice: se parliamo dei diritti dei 151 lavoratori PUC, ci sono diritti pieni anche se alle volte ce li dobbiamo conquistare. Ho fatto l’esempio poco fa del passaggio da B1 a B2, che anche se previsto dal contratto, questa amministrazione non l’ha messo in atto. Noi siamo firmatari del contratto del comparto universitario, quindi abbiamo tutti i diritti e tutti i doveri di qualunque impiegato che c’è in questa amministrazione. Invece i 34 collegi ASU, ex-articolo 23, non essendo firmatari di contratto, perché sono in attività socialmente utili, non hanno riconosciuti questi diritti. Non hanno riconosciute le festività, i diritti sindacali in genere.”

 

Invece i lavoratori Co.Co.Co., fanno parte sempre della vostra categoria?

“Non fanno parte di questa tipologia nostra. Il Co.Co.Co. non viene assunto come siamo stati assunti noi 17 anni fa dalle liste del collocamento. Funziona così: “Tu mi sei simpatico, ti assumo. Non mi sei simpatico, non ti assumo.” Non sei titolare di diritti, perché non sei titolare di un contratto. Se io dopo tre mesi, sei mesi o un anno di assunzione determinata non ti voglio più ti mando a casa. Se mi sei simpatico ti faccio continuare a lavorare. Mentre noi abbiamo iniziato a suo tempo con l’articolo 23 tramite graduatoria del collocamento, il nostro “padrino” erano l’anzianità di disoccupazione, non siamo né “figli di…” né “amici di…”. Tranne che l’ufficio di collocamento mi dice che non fa delle graduatorie, valide, pubbliche, oggettive.”

 

Sappiamo per sentito dire che i lavoratori precari nell’Università stanno superando il numero dei dipendenti “strutturati”.

“Da contratto nell’Università, è previsto che in ogni ateneo deve esserci non più del 20 % di figure atipiche. L’università di Catania ha attualmente una dotazione organica di circa 850 persone, aggiungendo le aziende ospedaliere e policlinico arriviamo a circa 1300. Le collaborazioni esterne e figure flessibili atipiche sono circa 1300, da quello che abbiamo saputo. Vedete come si va ben oltre il 20% previsto, andiamo quasi oltre il 50%. Anche se queste tipologie hanno una rotazione continua. Tanti possibilmente entrano per tre mesi che vanno di volta in volta ad aumentare.”

 

Penso inoltre che la rescissione di un contratto di un lavoratore atipico dopo un anno di formazione presso l’Università, vada anche a scapito dell’amministrazione che dovrà istruire un altro dipendente alle stesse mansioni.

“Quello che diciamo a questa amministrazione è questa: alcuni lavoratori da dieci anni lavorano qui, quindi sono altamente specializzati. Chi come me è dall’ottobre 2001 che lavora in questo ateneo, dopo 4 anni è altamente professionalizzato, quindi perché non investire in queste risorse umane ed andare a cercare possibilmente il figlio del professore, la moglie del professore che possibilmente per tre mesi sosterà là, e dovrà ripartire da zero. Dopo tre mesi possibilmente un’latra persona ancora ripartirà sempre da zero. Tanto vale che queste risorse vengano investite per coloro che già hanno una professionalità adeguata all’ufficio dove sono. Ci sono uffici che vengono gestiti direttamente da noi, questo a causa dei pensionamenti e della mancanza di assunzione di nuovo organico. L’università fino a qualche tempo fa aveva personale di circa 2000 unità, adesso siamo arrivati complessivamente a 1300, comprensive del policlinico e delle aziende ospedaliere. Questo mentre l’Università si ingrandisce e fa triplicare il lavoro.”

 

I rapporti con i colleghi “strutturati” come sono?

“Il collega d’ufficio “strutturato” – termine che io non utilizzo mai perché per me sono dei dipendenti – con cui ho parlato e che si trova fianco a fianco nella stessa scrivania mi ha espresso la sua solidarietà e quella dei componenti dell’ufficio. Anzi mi ha detto: “State facendo bene! Lo state facendo tardi. L’avremmo dovuto fare anche noi.” Perché il personale dipendente o cosiddetto “strutturato”, non è che stia bene.”

 

E perché allora loro non si fanno sentire?

“Perché l’80% delle strutture di questa amministrazione, è legato a doppio filo con l’università. Partiamo dagli studenti part-time che a volte sono figli degli impiegati, per arrivare a coloro che vengono assunti dalle agenzie interinali, ma che sono figli di impiegati; per arrivare a quelli che hanno contratti di collaborazione esterna (i cosiddetti Co.Co.Co.), che sono figli di impiegati, funzionari, professori. Ditemi voi se queste persone possono alzare la testa e dire: “Scusate, noi stiamo male!” Non lo potranno mai fare. Il 20% è libero e anche se stanno male, non hanno la forza e non c’è il numero adeguato. Il collega accanto che tu vedi, possibilmente qualora ci fosse uno sciopero, non è disponibile ad essere presente, perché ci troviamo in una situazione economica fatta di stipendi bassissimi, non è facile che l’impiegato tipo ci vada a rimettere di tasca sua. Questa amministrazione è riuscita a tenere degli impiegati non dico in regime di schiavitù, ma sicuramente in uno stato di servilismo assurdo. La docenza ha in questa amministrazione un peso enorme rispetto al personale tecnico-amministrativo, capite bene dunque la situazione.

 

A microfono spento l’intervistato ci confessa di situazioni alquanto delicate che vedono alcuni dei precari dell’università dover ricorrere addirittura a usurai per far fronte alle necessità economiche familiari. “Per quanto riguarda lo snellimento della mole di lavoro un suggerimento è quello della registrazione degli esami on-line da parte degli stessi professori così da evitare la registrazione in segreteria. Se l’università non ha soldi, potrebbe ad esempio aumentare di soli 3 euro la seconda rata della tassa d’iscrizione e avremmo pagati i nostri stipendi.”

 

Sempre parlandoci in confidenza, ci rivela che “i funzionari ai piani alti dell’ateneo hanno percepito 30-40 mila euro di premio produttività, soldi che potevano essere spesi per aumentare gli stipendi dei precari “articolisti”. Inoltre ci annuncia che in questa situazione, si andranno ad aggiungere 4 o 5 nuovi funzionari in futuro.”

Valeria Arlotta

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