L’InterFilm di Berlino applaude la Sicilia documentaria

Alessandro De Filippo, docente di Tecniche del linguaggio cinematografico presso la Facoltà di Lettere e Filosofia è stato portavoce della nostra terra all’InterFilmBerlin. Dal 4 al 9 novembre Sicilia documentaria, il programma ideato dal laboratorio multimediale della facoltà, ha presentato al grande pubblico un’altra Sicilia, lontana dagli stereotipi, attraverso documentari storici degli anni 1946-1958.
 
Cosa avete presentato al festival?
“L’invito che il direttore artistico Heinz Hermanns ha rivolto a la mu.s.a. è stato quello di costruire un programma di film siciliani, che proponesse una lettura onesta e un tentativo serio di rappresentazione della nostra isola. Compito abbastanza difficile perché cinematograficamente siamo poco più di una barzelletta, un luogo comune continuo che livella ogni cosa e occulta le differenze. La Sicilia resta la terra di Cumpare Turiddu, dei morsi all’orecchio e delle vendette di sangue… una condanna senza appello. Il cinema ci ha fatto il calco di gesso e stampa sempre le stesse storie, in una reiterazione stupida e ossessiva”.
 
Ma voi vi siete affidati alle potenzialità del documentario…
”Sì, perché il cinema documentario riesce ancora a essere onesto, qualche volta. Forse perché è tagliato fuori dal mercato commerciale della distribuzione nelle sale, forse perché mantiene nel suo codice genetico un legame più stretto con la realtà – Sono troppo ottimista, al limite dell’ingenuità? – Ma è un dato di fatto che per cercare la Sicilia, bisogna rivolgersi al documentario”.
 
A quali autori vi siete ispirati?
”In modo particolare io ho guardato alla produzione di due autori straordinari, come Francesco Alliata e Vittorio De Seta. Due maestri che hanno raccontato la Sicilia attraverso il lavoro dei pescatori di pesce spada e di tonni, attraverso i luoghi estremi e misteriosi delle Eolie, attraverso la fatica dei campi o delle miniere, attraverso il teatro popolare dell’opera dei Pupi. Nei loro lavori c’è proprio l’intento di dare voce alle differenze, tutta l’attenzione possibile a raccontare la Sicilia al di fuori degli schemi indotti dal cinema di fiction, e soprattutto emerge rispetto nello sguardo e amore per il linguaggio cinematografico”.

Era la prima esperienza ad un festival di cinema? Come è stato l’impatto?
“No, io ho vissuto l’esperienza di tanti festival in giro per l’Europa: Lubiana, Mostra del cinema di Venezia, Oberhausn, Berlino, Off di Roma, Cinema Giovani di Torino, Nuovo Cinema di Pesaro e ben 9 edizioni di Taormina Arte (quella diretta da Enrico Ghezzi), ma all’Interfilm c’è stato un clima davvero straordinario e sorprendente. C’è insieme indubbiamente un rigoroso professionismo, ma con un misto di familiarità e di sana voglia di divertirsi insieme. C’è amore per il cinema condiviso, forse perché il pubblico è in media molto giovane, forse per lo spirito che Heinz Hermanns ha saputo dare in questi 24 anni di direzione artistica. E la continuità nella direzione artistica rappresenta un valore irrinunciabile per costruire un percorso condiviso, per dare vita a un gruppo di ricerca. Ecco, un festival è un buon festival se fa ricerca, se è in grado di coagulare un gruppo di studenti, che poi diventano studiosi e che intraprendono un percorso comune. Mi piacerebbe vedere questo anche in Italia, ma da noi i direttori artistici non superano in media i 4 anni di attività… E ogni volta si riparte da zero”.

Che accoglienza avete ricevuto?
“Già al nostro arrivo la prima sera siamo stati affettuosamente invitati a salire sul palco per la presentazione del nostro lavoro Sicilia Documentaria. Il direttore Hermanns ha parlato di Catania come della sua seconda città, ha raccontato in maniera commossa di un seminario realizzato al carcere di Bicocca, ha ricordato anche i numerosi incontri-seminario con gli studenti della Facoltà di Lettere, ormai rito annuale della nostra offerta formativa. Ha ringraziato la Facoltà per la sua presenza, con un programma così importante dal punto di vista culturale che permette di far conoscere un’identità isolana ben diversa dai luoghi comuni del cinema poliziesco e poliziottesco, più ricca e variegata, più contraddittoria e decisamente più interessante”.
 
Come hanno reagito il pubblico e i giurati al vostro programma di documentari storici?
 Il pubblico ha reagito benissimo e alla fine delle proiezioni ha anche fatto molte domande sui lavori presentati, domande tecniche, ma anche sulla cultura siciliana dell’epoca… Insomma, la risposta è stata molto favorevole.
A parte questo programma, io ero anche nella giuria internazionale dei documentari. E anche questa è stata un’esperienza fantastica, perché mi ha permesso di conoscere delle persone davvero interessanti: due attori tedeschi, un regista argentino e la responsabile di programmazione di Doku-Canal ZDF.
 

Benedetta Motta

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