L’imprenditore tra affari e l’amicizia col boss Brunetto Pentito Bisognano: «Lo aiutai perché era vicino a lui»

Da allevatore e titolare di un bar a imprenditore capace di sostenere i lavori per la realizzazione del parco eolico sui Nebrodi. Con la capacità di accumulare un patrimonio di oltre 28 milioni di euro. Il successo del 63enne Salvatore Santalucia non sarebbe stato possibile senza la contiguità alla criminalità organizzata, sia sulla costa ionica che su quella tirrenica. Ne sono certi i giudici della sezione misure di prevenzione del tribunale di Trapani che ieri hanno disposto la confisca dei beni. Nel decreto, a cui ieri la Direzione investigativa antimafia ha dato seguito, si ripercorre la storia di Santalucia, conosciuto negli ambienti criminali Turi Piu.

Nato nel 1954 a Roccella Valdemone, paesino sui Nebrodi, Santalucia inizia a farsi notare dalle forze dell’ordine nel 1976 con una sanzione di 50mila lire emessa dal pretore dell’epoca per appropriazione indebita. A fine anni Ottanta viene denunciato per prelievo abusivo di materiale da un torrente, mentre nel 1994 viene denunciato perché trovato in possesso di un coltello, dopo che un anno prima la prefettura gli aveva negato il porto d’armi per difesa personale. Tuttavia, è a cavallo tra anni Novanta – dove viene anche eletto al consiglio comunale – e Duemila che le autorità iniziano a nutrire qualche sospetto sulle sue attività. Con l’ufficio misure di prevenzione del tribunale che riceve dalla procura una nota in cui si segnalavano le «notevoli disponibilità patrimoniali e finanziarie collegabili con attività non palesi». Appartamenti e terreni comprati nonostante Santalucia sembrasse apparentemente in difficoltà economiche.

L’imprenditore, definito dai giudici «soggetto che incuteva timore nella popolazione per la sua prepotenza», è stato più volte segnalato insieme a pregiudicati, anche per associazione mafiosa. Di loro ne avrebbe spesso assunto parenti e persone di fiducia, come nel caso del fratello di Salvatore Calcò Labruzzo, affiliato alla famiglia dei Barcellonesi e condannato all’ergastolo per duplice omicidio. Ed è proprio ai Barcellonesi che Santalucia sarebbe stato vicino. A dirlo è il collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano. «Sono intervenuto direttamente per pianificare e rateizzare un debito», ricorda Bisognano facendo riferimento a una vicenda che aveva visto il 63enne non riuscire a pagare una fornitura di gasolio. 

L’intervento di Bisognano – all’epoca leader dei Mazzaroti, gruppo costola dei Barcellonesi – era spiegabile da una motivazione ben precisa: il legame di Santalucia con il clan Brunetto-Papa, attivo nei centri di Castiglione di Sicilia, Piedimente Etneo e Fiumefreddo, e a sua volta ramificazione sul territorio della famiglia catanese dei Santapaola-Ercolano. «A conferma della vicinanza a Paolo Brunetto», dice Bisognano ai magistrati, quando gli chiedono di spiegare la decisione di dare una mano all’imprenditore. 

Di riferimenti ai rapporti tra l’ex capo clan di Fiumefreddo – morto nel 2013 – e Santalucia d’altronde ce ne sono tanti nelle carte dell’inchiesta Caterpillar di metà anni Duemila, in seguito alla quale Santalucia è sotto processo per violenza privata in concorso con lo stesso Paolo Brunetto e Orazio Papa. La vicenda riguarda le pesanti intimidazioni nei confronti di un cognato di Santalucia, anche lui attivo nel settore delle forniture edili. Santalucia avrebbe chiesto a Brunetto di fare qualcosa per fare desistere Mazza dal continuare a inviare cemento per un lavoro che in precedenza stava svolgendo lui. A dirlo è Papa nel corso di una conversazione in auto intercettata. «Tu sai perché siamo venuti qua. Qua c’è Turi Santalucia, fa cemento e hai i mezzi. Lo rispetto io», dice a un uomo, mentre insieme vanno verso a Roccella Valdemone. 

E intercettato l’imprenditore da bloccare, Papa parla chiaramente: «Ti vengono a cercare preventivi? Non gliene fare. Sai che quello è un amico nostro», intima a Mazza. L’amicizia nel corso del tempo aveva fatto diventare Santalucia – per ammissione dello stesso Brunetto – referente per Roccella Valdemone. Riconoscimento che l’uomo avrebbe gestito con consapevolezza. A riguardo, i giudici ricordano che nel 2006 l’imprenditore rivendicò il monopolio per i lavori nel piccolo centro, vantandosi di avere imposto a una ditta l’uso di un mezzo di sua proprietà.

La considerazione di cui avrebbe goduto Santalucia, secondo i giudici, sarebbe inoltre evidenziata dalla capacità di ottenere un subappalto dalla Eolo Costruzioni, l’impresa dell’imprenditore alcamese Vito Nicastri, destinatario nel 2010 di una mega confisca da un miliardo e 700milioni di euro, perché ritenuto punto di riferimento per le consorterie mafiose del Palermitano, con contatti anche con Matteo Messina Denaro.

Simona Arena

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