«Mi voglio togliere di dosso la definizione di “vittima di mafia” perché non solo mi sta stretta ma non rappresenta nemmeno quello che sono». Oggi Gianluca Calì è un imprenditore che vende automobili ad Altavilla Milicia, in provincia di Palermo. «Spero presto di potere aggiunge a “imprenditore” anche “di successo”», dice sorridendo a MeridioNews. Adesso, guarda solo la metà piena del bicchiere, lui che a dicembre scorso ha dovuto chiudere l’autosalone di cui era titolare nel capoluogo in viale della Regione Siciliana.
Nel 2011, Calì ha denunciato i suoi estorsori. Anni dopo, nel 2018 il tribunale di Palermo gli ha assegnato un bene confiscato alla mafia che è diventato Calicar. Alla fine dell’anno scorso, si è chiuso definitivamente alle spalle i cancelli in cui aveva appeso il suo personale manifesto di legalità. «Mai e poi mai pagherò nulla che non siano le imposte dello Stato – si legge in un cartello che era stato apposto all’ingresso dell’attività commerciale – Per cui se qualcuno ha intenzione di venire a chiedere qualcosa per i carcerati o le loro famiglie, sappia che deve andare al diavolo». Una posizione chiara che l’imprenditore ha esposto e che si è portato dietro anche adesso che ha cambiato location.
In viale della Regione Siciliana, negli anni, Calì ha dovuto assistere a «uno scambio di bare, una strana invasione di pecore nel nostro piazzale, continui passaggi di avventori in scooter che imprecavano al nostro indirizzo e – ricorda l’imprenditore – anche a un presunto venditore ambulante di sigarette di contrabbando che avvicinava i nostri potenziali clienti per dissuaderli dall’acquistare da noi». Una situazione diventata insostenibile in quel posto. «Ad Altavilla però, rimboccandoci le maniche e facendo tanti sacrifici – spiega Calì – stiamo riuscendo ad andare avanti e a segnare la nostra storia in modo positivo».
Con gli affari che cominciano a ingranare, il primo pensiero dell’imprenditore è «riassumere tutti i dipendenti che ho dovuto licenziare». L’impegno di Calì ha come obiettivo quello di riavere ciò che gli è stato tolto con prevaricazione. Anche perché, in provincia, a Calicar i clienti non mancano. «Qui si sentono sereni di venire e spesso ci sentiamo dire “abbiamo scelto di comprare da voi la macchina per dimostrarvi la nostra solidarietà” e questa è una cosa meravigliosa che mostra come una parte della società civile stia prendendo coscienza del fatto che dei soldi che lasciano a noi, nemmeno un centesimo va a finire nelle casse delle mafie».
La narrativa retorica che chi denuncia diventa vittima di mafia a Calì non piace, non gli si addice. «Le vittime della criminalità organizzata sono i morti. Io sono vivo e non ho nemmeno perso nulla, anzi ci ho guadagnato doppiamente: non solo perché mi sveglio ogni giorno sapendo di avere la coscienza pulita ma anche perché, pure all’esterno, ho acquistato valore». L’ultimo passo da fare, adesso, è quello di trovare una definizione che sostituisca quella di “vittima di mafia” che ha un’accezione negativa. «Nell’immaginario collettivo, le parole contribuiscono a formare anche i pensieri. Idee per un modo nuovo in cui chiamare gli imprenditori presi di mira dalla criminalità organizzata che poi denunciano? “Cavaliere della civiltà” mi sembrerebbe una descrizione appropriata», conclude l’imprenditore.b
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