L’immigrazione per sviluppo del Mediterraneo Gozi: «Ue timida, rapporto nuovo con l’Africa»

Frontiere. Mediterraneo. Africa. Ovvero trasformare l’immigrazione – di cui la miope Ue si accorge soltanto in estate, bollandola come emergenza stagionale – in occasione di sviluppo. Si è mosso su questa traccia il convegno Politiche europee per lo sviluppo dell’Area Euro-Mediterranea organizzato dalla Cgil allo Steri di Palermo. Presente la segretaria generale Susanna Camusso. «Non ci può essere uno sviluppo coeso dell’Unione Europea – scrive il sindacato – senza risolvere i nodi del nostro mare» e soprattutto «senza dirimere le problematiche economiche e sociali» e le cause di arretratezza dei tanti Mezzogiorni d’Europa. 

Già, perché non ci sono soltanto il Sud Italia o la Sicilia ad arrancare dietro un nord più ricco, ma anche l’Andalusia e la Comunidad Valenciana in Spagna o le isole greche. Tutte zone bagnate dal mare e colpite da problemi simili, sulle quali «la politica europea non dovrebbe adattarsi passivamente ai problemi – insiste la Cgil – cercando di contenere i danni ma dovrebbe ripensare profondamente la propria idea di vicinato». Magari attraverso «una strategia macro-regionale per l’area mediterranea», naturalmente affiancata da «un piano di investimenti efficiente ed efficace sulle infrastrutture materiali e immateriali». Uno sguardo rivolto all’Africa, appunto. 

L’obiettivo? «Coinvolgere gli Stati della sponda nord del continente africano per la costruzione di una strategia comune di sviluppo economico e sociale integrato in un programma europeo». Per il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Sandro Gozi «occorre che l’Europa dimostri molto più coraggio e lungimiranza sul tema dell’immigrazione. Non basta ricordare che l’immigrazione è una grande priorità. Bisogna indicare chiaramente che un rapporto nuovo tra Europa e Africa è fondamentale nel nuovo patto politico dell’Europa che vogliamo stringere il prossimo anno. E invece a Bratislava la parola ‘Africa’ non c’era nemmeno». Con questa «timidezza», come la definisce Gozi, insomma, non si va da nessuna parte. Anzi, serve solo a rinviare la soluzione in eterno mentre si radica e si fomenta la paura dell’immigrato, vedi la crescita dell’Afd in Germania: «Invece di continuare a discutere delle politiche di austerità l’Europa dovrebbe occuparsi delle politiche sociali e delle disuguaglianze – sostiene Camusso – e rendersi conto che il populismo che cresce è esattamente figlio di questa idea che le diseguaglianze crescono». 

Lo sviluppo però passa anche dalla democrazia, che in alcuni Stati del Mediterraneo è sbiadita o del tutto assente. La leader della Cgil fa gli esempi dell’Egitto e del caso Regeni («Ci sarà un momento in cui diremo finalmente cos’è il governo egiziano? Altrimenti rimarremo sempre dell’idea che le Procure provino a collaborare e a scambiarsi informazioni, ma contemporaneamente il messaggio che avremo dato ai giovani italiani ed europei è che in Egitto non ci si può andare, non ci si può discutere nè avere libera informazione»), ma anche della Turchia e di tutti quei regimi autoritari che «tengono in ostaggio le popolazioni migranti» (si pensi ai siriani) usandole come un grimaldello che alimenta i populismi e condiziona, in questo modo, la politica interna degli altri Paesi comunitari.

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