Licata reagisce dopo le minacce alla commissaria Dubbi di Brandara e della città: «Firma troppo ovvia»

«Stamattina, come sempre, stavo per uscire da sola, poi mi hanno detto che dovevo aspettare i miei nuovi angeli custodi. Non ci sono abituata, è pesante privarsi di certe libertà ma sono grata alle istituzioni perché mi sono state subito vicine. I politici meno, i politici si sono fatti sentire poco nelle ultime ore». Mariagrazia Brandara, la commissaria straordinaria di Licata, assiste da Agrigento, dalla sede della sua ventennale associazione Agorà, alla pioggia di reazioni seguite alla lettera in cui qualcuno l’ha minacciata di morte. Poche righe, scritte in un italiano corretto, con il disegno di una bara ad accompagnare le parole. E due indirizzi, quello di Palermo e quello di Naro (la cittadina di cui è originaria e di cui è stata sindaca), a impensierirla maggiormente. «Sono una tosta io – racconta a MeridioNews – in passato ho ricevuto bottiglie incendiarie e lettere con proiettili, neanche il carcinoma mi ha abbattuto. Ma leggere l’indirizzo di Palermo, dove vivo dal lunedì al venerdì, tra l’altro ospite di un amico, mi ha messo paura. Lo conoscono in pochissimi. Ecco perché, prima di decidere se continuare con il mio mandato a Licata, devo parlarne con la mia famiglia, con mio fratello, l’ultimo che mi è rimasto visto che gli altri due sono morti». La prefettura le ha assegnato una scorta provvisoria di due uomini, in attesa che martedì il comitato per l’ordine e la sicurezza prenda una decisione più a lungo termine. 

Intanto a Licata non tutti sono venuti a conoscenza della lettera minatoria. «Io non sapevo neanche che si era insediato il commissario», dice il titolare di un panificio. Ma è un’eccezione. La gran parte dei cittadini ha letto o sentito la notizia ed esprime la propria amarezza. «Quando succedono queste cose mi vergogno di essere licatese», spiega un giovane. Molti sottolineano la correttezza di Brandara. «Spero che resti, perché conosce Licata bene», aggiunge un altro titolare di attività commerciale. «Proprio a signura, è doc – conferma un signore al bar -. Ha intuito, esperienza, iniziativa, è una persona che dovrebbe rimanere nel posto dov’è». 

Dubbi invece emergono sul mittente della lettera minatoria. A molti non convince la palese rivendicazione delle minacce. Le parole «non toccate le nostre case» sembrano quasi una firma per indirizzare le indagini verso una sola direzione. Ad ammetterlo è la stessa Brandara. «Mi sembra troppo ovvio pensare che il mittente sia da cercare negli abusivi, è scritto in maniera troppo chiara – spiega -. Recentemente ho incontrato il comitato degli abusivi, è stato un confronto sereno e cordiale. Loro continuano ad avanzare le loro rivendicazioni, mi chiedono di spostare i soldi stanziati per le demolizioni sul depuratore. Ma sanno bene che le sentenze vanno rispettate. Ecco perché mi sembra strano che l’estensore della lettera abbia voluto mettere la firma . Probabilmente – si chiede la commissaria – tenta di spostare l’attenzione su altro? Sarà un balordo? Sarà uno stupido? O sarà una persona dall’intelletto troppo fine? Fortunatamente abbiamo investigatori capaci, speriamo che risolvano l’enigma».

Sulla stessa linea anche l’associazione A testa alta, che da quattro anni si impegna a Licata nella lotta alla legalità. Sono stati loro tra i primi a sollevare l’attenzione sul problema delle case abusive, e sempre loro hanno diffidato l’amministrazione guidata dall’allora sindaco Angelo Balsamo e dal suo vice Angelo Cambiano, poi succedutogli, che proponeva di rivendere le case ai proprietari, dopo che il Comune le aveva acquisite nel proprio patrimonio. Adesso, continuando a vigilare sul corretto funzionamento della cosa pubblica, invitano «a indagare a tutti i livelli e in ogni direzione, senza il preconcetto che si tratti di un gesto riconducibile agli ex proprietari degli immobili da demolire, e senza tralasciare quindi nessuna ipotesi, compresa quella di un possibile tentativo, da parte di consorterie affaristico-clientelari locali, di condizionare, alimentando la paura con il pretesto delle demolizioni, il regolare andamento della cosa pubblica, allo scopo di impedire, in particolare, nuove e coraggiose iniziative istituzionali sul versante della trasparenza e della prevenzione della corruzione».

I problemi di Licata che Brandara dovrà affrontare non si limitano infatti alle demolizioni. Anzi, per quelle l’iter è ormai avviato, le coperture finanziarie ci sono, e le ruspe andranno avanti. Restano alcuni nodi spinosi, come la vicenda del porticciolo turistico e l’assegnazione di alcuni beni confiscati. Sul primo punto proprio l’associazione A testa alta ha diffidato la commissaria ad agire per non perdere i sei milioni di euro che la società realizzatrice il porto, Iniziative Immobiliari, dovrebbe pagare al Comune. «Anche su questo – promette Brandara – sarò un muro in difesa della città». 

Nelle prossime ore la commissaria scioglierà le riserve sul suo futuro a Licata, «intanto però – ci tiene a sottolineare – voglio dire che per tornare qui ho rinunciato all’incarico all’Irsap, perché amo questa città, fatta da cittadini perbene e onesti. La politica ha strumentalizzato una parte di loro promettendo cose che non si potevano promettere». E in proposito Brandara lancia un appello a tutti i candidati alle Regionali, sia i locali che gli aspiranti alla presidenza. «Devono dire cosa intendono fare con la questione delle demolizioni, perché tutti in questo momento si devono sentire commissari straordinari di Licata».

Salvo Catalano

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