Licata, la nave Eni in ricognizione per le trivellazioni Tra i timori dei pescatori e le nuove proteste No Triv

Ha un nome curioso ma incute ugualmente paura. Si tratta di Filomena Prima, la motonave che dal 10 novembre opera al largo delle costa di Licata per verificare se alcuni pozzi petroliferi sottomarini di proprietà dell’Eni potranno essere riattivati. «È una grossa imbarcazione che opera tramite alcun robottini che scendono sott’acqua» spiega l’ingegnere Mario Di Giovanna, che da sette anni ha dato il via alla campagna Stop alle trivelle. «Ciò rientra nel progetto dell’offshore ibleo, con cui Eni intende capire se alcuni pozzi come Argo e Cassiopea possono ancora essere sfruttati». Intanto, i pescatori dell’Agrigentino tornano a temere per le loro attività. Come recita l’ordinanza concessa dalla locale guardia costiera, fino al 20 novembre chiunque dovrà mantenersi a una distanza di mezzo miglio dalle attività di Filomena. Ma non è il solo motivo di malcontento. 

«Siamo stati contattati dai pescatori – spiega Marco Castrogiovanni, che fa parte del comitato No Triv di Licata – perché da quando c’è questa nave si sono verificati strani episodi: le reti risultano spesso tagliate senza motivo e quando cominciano a tirarle sono pesantissime e ricche di sedimenti. Un paio di volte si sono persino spezzati i cavi e una persona è finita in ospedale». Il timore dei lavoratori è che la nave stia effettuando ricerche tramite airgun, la contestata tecnica che genera onde compressionali emettendo bolle di aria compressa nell’acqua e che viene a volte utilizzata proprio per le prospezioni geofisiche. In realtà nella citata autorizzazione si parla esclusivamente di una «campagna di ispezione visiva delle teste di pozzo sottomarine», mentre il comando di bordo della Filomena «deve adottare tutti gli accorgimenti tecnici necessari al fine di prevenire qualsiasi danno all’ambiente marino con la scrupolosa osservanza delle prescrizioni previste da tutte le autorizzazioni, leggi e disposizioni vigenti». 

Di Giovanna spiega che «la Capitaneria di porto ha ispezionato la nave per vedere se avevano l’attrezzatura per l’airgun e sembrerebbe che non sia stato riscontrato nulla. Gli animi dei pescatori sono comunque in fibrillazione – aggiunge l’ingegnere -. Certo è che una nave di quelle dimensioni costa maledettamente: ciò vuol dire che si preparano alle operazioni e, con tutte le carte in regola, quei pozzi potrebbero entrare in funzione a breve». Dal canto loro, pescatori e attivisti No Triv hanno ripreso la mobilitazione con un’assemblea che ieri pomeriggio ha visto partecipare oltre un centinaio di persone. In mattinata invece era stato annunciato lo stato di agitazione dell’intera categoria. 

«Il punto non è se l’airgun viene utilizzato o meno, anche se l’ipotesi continua a preoccupare – afferma Castrogiovanni -. C’è una forte determinazione a impedire che l’intero progetto vada avanti». L’offshore ibleo ha subìto una importante modifica a settembre 2016: a sorpresa (dopo che il Tar aveva comunque respinto il ricorso presentato da alcune associazioni ambientaliste e di quattro Comuni siciliani) Eni annunciò di rinunciare alla prevista realizzazione della piattaforma Prezioso K, ma di voler comunque effettuare una ricollocazione degli impianti di trattamento del gas (soprattutto metano), non più a mare ma a terra nelle aree rese disponibili dalla Raffineria di Gela. «Si tratta di osteggiare la messa in produzione della condotta sottomarina – conferma l’attivista -. Se si realizzasse il progetto quel tratto di mare diventerebbe zona interdetta e i pescatori non potrebbero più campare».

Andrea Turco

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