Liberty Reserve: riciclare denaro nell’era 2.0 La lotta ai furbi parte da New York

Trafficanti di droga e pedofili terranno bene in mente la data del 26 maggio 2013. Da quel giorno una schermata del governo statunitense fa da homepage a una delle loro piattaforme preferite, Liberty Reserve. Grazie a un mandato della Corte Distrettuale del Southern District di New York, la criminalità organizzata ha perso la macchina che li ha assistiti nel riciclare 6 miliardi di dollari sporchi negli ultimi sette anni. E’ l’inizio della lotta al riciclaggio digitale.

Liberty Reserve era una piattaforma monetaria online, un ibrido tra Paypal e una moneta virtuale. E’ stata fondata da Arthur Budovsky, ex cittadino statunitense di origini ucraine, naturalizzato in Costa Rica. In un’intervista del 2002, Budovsky descriveva la sua creatura, ancora da lanciare: Liberty Reserve non sarebbe stata altro che un’infrastruttura di scambio di denaro con l’obiettivo di tutelare la privacy dei suoi utenti. Niente di più. Niente soldi sporchi, droga, pedopornografia.

Niente di più falso secondo i procuratori distrettuali. Budovsky, arrestato in Spagna, era consapevole dei crimini perpetrati attraverso la sua piattaforma, e grazie ad essa ha accumulato profitti tenuti nascosti in conti in Cipro, Costa Rica, Cina, Marocco, Spagna, Lituania.

Il metodo di riciclaggio è assurdamente semplice ed efficace. Per aprire un conto su Liberty Reserve bastava una email, una data di nascita e un indirizzo. Tutto qua. Niente numero della carta di credito o prove della veridicità dei dati immessi. Creando identità fittizie, gli utenti potevano scambiare denaro per la valuta utilizzata dalla piattaforma, il Liberty Reserve (LR). La moneta virtuale poteva essere direttamente utilizzata per compravendite, oppure riconvertita in un’altra valuta. Ogni dato sulle transazioni compiute non era registrato. In altre parole, con le precauzioni giuste in Liberty Reserve eri invisibile, ogni traccia di proventi illeciti era cancellata dall’anonimità della piattaforma.

Liberty Reserve è solo l’inizio di un fenomeno che negli anni a venire diventerà enorme, e porrà forti questioni, soprattutto di carattere etico. Negli ultimi mesi è cresciuta l’attenzione mediatica nei confronti del collegamento tra narcotraffico e finanza globale. Le maggiori banche del pianeta trattano con i boss della cocaina e dell’eroina. Li aiutano a nascondere l’origine dei milioni fatturati in cambio di una fetta della torta. L’HSBC, il colosso bancario più grande al mondo, è stato multato per aver riciclato un milione di dollari sporchi in Argentina proprio qualche giorno fa.

I narcos sembrano essere sempre un passo avanti e anticipano che, assieme ai media, la stretta regolatrice dei governi sui banchieri potrebbe rafforzarsi. In tal caso, non ci sarebbe opzione migliore che sfruttare i servizi finanziari dell’internet anonimo. Liberty Reserve, insomma, non è unico e neanche un caso isolato.

C’è pero, come accennato, una forte dimensione etica. I servizi finanziari anonimi in realtà non sono necessariamente un male, e non sono da combattere per il semplice fatto che anche la criminalità organizzata potrebbe farne uso. Specialmente in seguito allo scandalo che ha coinvolto la statunitense National Security Agency (NSA). Sapere che un governo può, con la semplicità di un clic, accedere ed abusare delle informazioni personali registrate da Google, Facebook, Yahoo ed Apple sicuramente convincerà più di un cittadino con a cuore la propria privacy ad utilizzare servizi anonimi ed esplorare la Darknet.

Il compromesso tra lotta al crimine e libertà è, sì, reale, e sempre più evidente con la digitalizzazione della società. Ma solvibile. Sta a buon governo e una buona società civile arrivare al come.

[Foto: homepage di Libertyreserve.com]

Redazione

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