La risposta delle autorità pubbliche al massacro di Giovanna Reggiani è stata ferma, netta: non cè spazio in Italia per chi vive derubando, violando, uccidendo. Cè qualcosa di sacro nel bisogno di sicurezza sempre più acutamente sentito dagli italiani, così come cè qualcosa di sacro nellospitalità, nellapertura al diverso, nella circolazione libera dentro lUnione.
Questantinomia permane ma comincia a esser vissuta come un ostacolo, anziché come una convivenza di norme contrastanti (di nòmos) che vivifica lEuropa pur essendo ardua. È unantinomia che educa a vivere con due imperativi: lapertura delle porte ma anche la loro chiusura se necessario. Molti chiedono negli ultimi giorni di «interrompere i flussi migratori»: la collera suscitata dal crimine di Tor di Quinto ha rotto un argine, anche nel nuovo Partito democratico, e dun tratto sembra che solo un imperativo conti: le porte chiuse.
Su un quotidiano di sinistra, lUnità, sono apparse parole strane. Si è parlato, a proposito del quartiere del delitto, di «tutta unumanità brutta sporca e cattiva»; si è parlato di «città italiane che funzionano come miele per le mosche di uno sciame incontrollato che viene dallEst Europa». Lumanità sporca, lo sciame di mosche: è vero, un tabù cade a sinistra e tanti se ne felicitano, constatando che finalmente il buonismo è stato smesso e che la sinistra non va più alla ricerca dei motivi sociali della delinquenza ma si concentra sulla repressione e le vittime.
Gli imperativi dellapertura sappannano, la tensione vivificante fra norme diverse svanisce, entriamo in un mondo che promette certezze monolitiche: basta interrompere i flussi, e il male scompare. Spesso il capro espiatorio nasce così, con questa riduzione a uno del molteplice, del complesso. Spesso nascono così i pogrom, come quello scatenato venerdì sera contro i romeni nel quartiere romano di Tor Bella Monaca: dallOttocento hanno questo nome, in Europa, le spedizioni punitive contro i diversi.
Anche le ideologie nascono così, fantasticando scorciatoie che risolvono tutto subito. Oggi è la destra a sognare utopie simili, e la sinistra riformatrice saccoda sperando di ricavare guadagni elettorali. La distruzione dei campi rom è parte di questideologia. Unideologia irrealistica perché limmigrazione non sarà fermata e lEuropa ne ha bisogno. La Spagna sembra esserne consapevole e non a caso è diventata il Paese con il più alto numero di immigrati e progetti dintegrazione. La ripresa della natalità iberica è dovuta a questo. Chi parla dellimmigrazione come di male evitabile sbaglia due volte: perché non è evitabile, e perché in sé non è un male.
Se non si vuole che sia un male occorre governarlo bene, il che vuol dire: non solo reprimendo, ma reinventando politiche in Italia e nellUnione. Perché europei sono i dilemmi ed europeo sarà linizio della soluzione. Perché il tabù di cui tanto si discute non è quello indicato (buonismo, tolleranza). Il vero tabù, che impedisce con i suoi interdetti di vedere e dire la realtà, è un altro: è la questione Rom ed è linerzia con cui la si affronta nel dialogo con lEst da dove vengono i cosiddetti nomadi. Fuggiti dallIndia nellanno 1000, giunti in Europa nel Trecento, i Rom assieme ai Sinti sono chiamati spregiativamente zingari, parlano una lingua derivata dal sanscrito, in genere sono cristiani (la parola Rom, come Adamo, significa «persona». I più vivono in Romania). Siamo in emergenza, è vero. Ma non è solo emergenza sicurezza. Cè emergenza europea sui diritti delluomo e delle minoranze. Cè una doppia inerzia: nelle strategie dintegrazione e nei rapporti tra Stati europei.
Questemergenza è acuta a Est, da quando è finito il comunismo: in Romania è specialmente vistosa ma la malattia sestende a Slovacchia, Ungheria, Repubblica ceca, Kosovo. Al concetto unificatore di classe è succeduto dopo l89 il senso dappartenenza alle etnie, e vecchie passioni come xenofobia e razzismo, non superate ma addormentate durante il comunismo, sono riapparse: i più invisi sono i Rom – oltre agli ungheresi che non vivono in Ungheria – e il loro migrare a Ovest è intrecciato a questa ostilità dentro i Paesi dellEst e fra diversi emigrati dellEst.
È quello che i rappresentanti Rom in Europa denunciano ultimamente con forza (sono circa 8 milioni, su 15 nel mondo). La Romania, in particolare, è accusata di attuare una politica sistematica di espulsione di Rom, da quando è entrata nellUnione allinizio del 2007. Il ministro dellInterno, Amato ha evocato a settembre un «vero e proprio esodo di nomadi dalla Romania», e di esodo in effetti si tratta: ma esodo forzato, nellindifferenza europea. Dicono i rappresentanti Rom che i membri della comunità in Romania son cacciati dagli alloggi, dai lavori, dalle scuole, e per questo preferiscono le topaie italiane. Il ministro Ferrero, responsabile della Solidarietà sociale, dice il vero quando nega che lesodo sia essenzialmente economico: la Romania non è più così povera, sono xenofobia e razzismo a colpire oggi i Rom.
Queste cose andrebbero ricordate a Bucarest, cosa che hanno tentato di fare Amato e Ferrero in un recente incontro con il ministro romeno dellInterno, David. Ferrero ha cercato lumi presso il Forum europeo dei Rom e tentato di mettere alle strette David. Dallincontro è nata la convocazione di un tavolo permanente di negoziato: presto si riunirà a Bucarest. Proprio perché è nellUnione, la Romania deve rispondere di quel che fa con i propri Rom (2 milioni, secondo stime ufficiose).
Discutere di queste cose con Bucarest e altri governi dellEst è urgente. Un patto è stato infatti rotto, che pure era assai chiaro. Ai tempi dei negoziati dadesione, i candidati si erano impegnati a rispettare i criteri di Copenhagen, che non riguardano solo leconomia ma le «istituzioni capaci di garantire democrazia, primato del diritto, diritti delluomo, rispetto delle minoranze e loro protezione». Ingenti fondi son devoluti da anni a tale scopo (il programma europeo Phare, cui si aggiungono finanziamenti della Fondazione Soros, della Banca Mondiale) intesi a frenare la «discriminazione fondata sulla razza e lorigine etnica».
È accaduto tuttavia che una volta entrati, numerosi governi dellEst hanno fatto marcia indietro (il regime Kaczynski in Polonia è stato un esempio). Ed è così che si è riaccesa lostilità verso i Rom: questa etnia perseguitata da un millennio e decimata nei campi nazisti. Paragonarli a uno sciame di mosche non è anodino. Significa che lItalia (per come parla o chiede azioni) comincia ad assomigliare a quegli europei dellEst che stanno arretrando e riproponendo, ancora una volta nel continente, il dramma Rom. Certo urge controllare meglio i flussi migratori: ma non si può farlo accusando intere etnie (Rom, Romeni, Albanesi) per il delitto di alcuni. Non si può governare alcunché se non si prende distanza dalla strategia di cui Bucarest è oggi sospettata.
La caduta dei tabù comporta anche il formarsi di idee completamente false. Con disinvoltura i Rom son descritti come non integrabili, nomadi, dediti al furto. I dati smentiscono queste nozioni. In Italia la comunità Rom è composta in stragrande maggioranza di sedentari, non di nomadi. E tentativi molto validi di integrazione hanno dimostrato che questultima può riuscire.
Ci sono iniziative della Chiesa: le ha spiegate sul Corriere don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità a Milano. E ci sono iniziative pubbliche preziose: a Pisa, Napoli, Venezia. Pisa è esemplare perché i risultati sono eccezionali: nei campi vivevano 700 Rom, dieci-dodici anni fa. Solo due bambini erano scolarizzati. Il Comune si è incaricato di trovar loro lavoro e alloggi, scegliendo un mediatore per negoziare con i vicini. Appena emancipati, i Rom uscivano dal programma dassistenza e i fondi servivano a integrare altri loro connazionali. Nel frattempo, si spingevano le famiglie a scolarizzare i figli. In dieci anni, 670 Rom su 700 sono stati inseriti, e tutti i bambini vanno a scuola. Certo la comunità in Italia è divisa: alcuni chiedono più campi, mentre i più vogliono superarli proprio perché il nomadismo è meno diffuso di quel che si dice: il 90 per cento dei Rom (140 mila nel 2005, in parte italiani) non sono camminanti bensì – da decenni – sedentari.
Per riuscire in simili operazioni bisogna abbandonare lutopia, privilegiando fatti ed esperienze. Ambedue confermano che lintegrazione resta indispensabile, che chiuder le porte non basta, che è necessario far luce sui pericoli che corre non solo la sicurezza ma la democrazia. Dice Franz Kafka: «Bisognerà pure che nel campo dei dormienti qualcuno attizzi il fuoco nella notte». Questo invito a far luce sui veri tabù vale per i dormienti dellEst e per lEuropa. Vale per i Rom (il loro faro non dovrebbe esser la figura della vittima ma la donna Rom che sè sdraiata sullasfalto davanti a un autobus per denunciare il Rom assassino di Giovanna Reggiani) e vale per la destra come per la sinistra italiana.
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