L’eredità delle grandi rivoluzioni

di Lorenzo Ambrosetti

La rivoluzione dei coloni americani e la rivoluzione francese segnano una svolta importantissima nella definizione ed articolazione della tematica riguardante i diritti dell’uomo.

Entrambe nascono e si sviluppano come complemento delle concezioni del diritto naturale che erano state precedentemente illustrate dai filosofi del Settecento.

L’unica differenza tra le due è che la dichiarazione francese contiene un riferimento alla volontà generale come titolare del potere legislativo di netta derivazione rousseiana; ma per il resto, entrambe derivano dalle concezioni del diritto naturale che si erano sviluppate fino ad allora.

Il punto di vista della dichiarazione francese è che l’uomo ha dei diritti naturali che precedono l’istituzione del potere civile e che vengono prima dello Stato, che deve riconoscerli e rispettarli.

Per capire il senso di questa svolta storica, per cui per la prima volta vengono riconosciuti dei diritti originari al potere civile, è necessario riferirsi al pensiero classico e a quello medievale che considerano il rapporto politico in modo diseguale, in cui uno dei due soggetti viene prima e sta in alto, il governatore rispetto al governato, il dominatore rispetto al dominato, il sovrano rispetto ai sudditi.

E’ la concezione politica per la quale la potestas viene prima della libertas, nel senso che la sfera di libertà è concessa graziosamente dai detentori del potere o, in altre parole, la lex viene prima dello ius, nel senso che quest’ultimo coincide col silentium legis.

Nel pensiero classico di matrice aristotelica, l’uomo è un animale politico, che nasce e si sviluppa nella famiglia e perfeziona la propria natura in quel gruppo sociale più grande, di per sé autosufficiente, che è la polis.

Gli uomini, quindi, non nascevano liberi perché inizialmente sottoposti alla autorità paterna, poiché il rapporto padre figli è un rapporto da superiore a inferiore, e poi erano sottoposti al potere della polis.

La dichiarazione francese recita invece “Gli uomini nascono uguali e restano liberi ed uguali in diritti”. Si sovverte in poche parole tutta la concezione del rapporto politico, che diviene ora un rapporto tra eguali, poiché nell’originario stato di natura gli uomini non hanno altri vincoli se non quelli che contrattualmente e liberamente si impongono.

E’ la nascita della democrazia moderna, con il trionfo della concezione individualistica della società, per cui l’individuo, inteso come singolo, e non più lo Stato, secondo le teorizzazioni classiche e medievali, è al centro del rapporto politico.

D’ora in avanti la società è in funzione dell’individuo e non viceversa, il quale può esercitare liberamente i diritti concessigli dall’ordinamento, senza restrizione alcuna nel rispetto delle leggi che anch’egli ha contribuito a deliberare.

Naturalmente parliamo di democrazia rappresentativa, per cui il cittadino, a parte la presenza in tutti gli ordinamenti giuridici di istituti di democrazia diretta, è chiamato a partecipare alle deliberazioni collettive solo quando getta la scheda nell’urna.

Tutte le Costituzioni, da allora in poi, hanno salvaguardato il principio della tutela dei diritti individuali di libertà, riconoscendo come operante, di fatto, la concezione individualistica della società di cui si era fatta promotrice la rivoluzione francese.

Naturalmente la situazione oggi è mutata, la crisi delle istituzioni politiche, ormai al disfacimento, ha svuotato la democrazia dei suoi simboli, privando i cittadini del diritto a scegliere il tipo di società verso la quale esprimere la preferenza.

Vedremo cosa ci riserva il futuro, se potremo attenderci qualche sorpresa.

Redazione

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