L’epidemia dei disturbi alimentari tra i più piccoli «Non solo anoressia e bulimia. Casi gravi a 9 anni»

«Un’epidemia della modernità che con i lockdown si è aggravata». Un fenomeno in rapida diffusione, sempre più esteso e frequente specie nell’ultimo anno. È così che descrive i disturbi alimentari Carmelita Russo, la dirigente medica che di queste patologie mentali si occupa nel reparto di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’ospedale Santa Marta e Santa Venera di Acireale. «In questo momento, dei dieci posti letto disponibili, sei sono occupati da ragazzini ricoverati per casi gravi legati alla sfera dell’alimentazione», spiega a MeridioNews Russo che è anche psicoterapeuta. «Non sono semplici disturbi della nutrizione, ma disturbi mentali che colpiscono anche bambini e bambine a partire dai nove anni e che devono essere affrontati tramite dei percorsi multidisciplinari». Non solo le più note anoressia e bulimia, ma anche patologie più difficili da vedere e da riconoscere eppure ugualmente gravi da cui «si può guarire ma serve soprattutto una corretta diagnosi precoce».

Da quando è iniziata la pandemia di Covid-19 molti minori si sono ammalati, sono aumentate le ricadute e sono venuti fuori anche quadri clinici nuovi. Le limitazioni della socialità e i lunghi periodi trascorsi in casa hanno modificato il rapporto con il cibo. «In reparto, è arrivata una ragazzina con una anoressia gravissima: alta 165 centimetri, è arrivata a pesare 29 chili. È stata la madre – racconta la dottoressa – a raccontarci che tutto è cominciato quando lei ha fatto iniziare una dieta a tutta la famiglia, dopo qualche chilo di troppo preso durante il lockdown». Malattie sociali che nascono da un ideale della forma fisica portato alle estreme conseguenze, seguendo spesso modelli che arrivano anche dai social network «ma che – ci tiene a precisare Russo – partono anche da fattori di predisposizione e da caratteristiche della personalità». 

Perfezionismo e insicurezza sono i tratti degli anoressici. «I casi con cui abbiamo a che fare sono di minorenni che non tollerano di prendere meno di dieci come voto a scuola e che pretendono di eccellere anche nello sport», analizza la dottoressa. Più precoce è diventata anche la bulimia, «per cui sono più predisposti bambini e adolescenti di tipo borderline, emotivi, instabili e impulsivi». Due disturbi che colpiscono principalmente le femmine. Questo non significa che i maschi ne siano immuni. Più tipicamente maschile è, però, la bigoressia (ovvero, l’anoressia al rovescio) che è più difficile da riconoscere. «Ci capitano casi di ragazzini all’apparenza atletici e muscolosi, che fanno tanta attività fisica e che, quindi, sembrano in salute. In realtà – svela Russo – anche loro subiscono l’idealizzazione del corpo che li porta a mangiare proteine, ad assumere integratori e fare sport in modo compulsivo non per il piacere del lavoro fisico ma spinti dalla dismorfofobia». Effetti opposti ma che partono da pensieri identici a quelli degli anoressici: il controllo del corpo e del cibo che diventa una ossessione. «Un po’ la sindrome di Barbie e Big Jim: per entrambi il corpo non è mai abbastanza, magro per la prima e muscoloso per il secondo», analizza la dottoressa.

Tra l’elenco dei disturbi mentali che riguardano i più giovani, c’è anche ortoressia che è l’ossessione di mangiare sano. «È un disturbo che si maschera dietro una apparente attenzione all’alimentazione – spiega Russo – ma che, in certi casi, diventa la porta d’ingresso per l’anoressia. Chi ne è affetto, di solito, comincia a mangiare soltanto da solo e soltanto in casa». Altro fenomeno in espansione, eppure sottovalutato, è la drunkoressia che consiste nel ridurre (fino al limite) la quantità di cibo per bilanciare la grande quantità di calorie assunte con un sistematico consumo di alcolici. «Abbiamo avuto il caso di una ragazzina che mangiava solo una patatina durante l’apericena per potere bere di più». Un’altra patologia da alimentazione incontrollata è il binge, caratterizzata da grandi abbuffate compulsive che, a differenza di quanto accade per la bulimia, non sono programmate e non hanno pratiche di eliminazione. «Abbiamo seguito il caso di una ragazzina che mangiava tutto quello che c’era – racconta Russo – e che è arrivata a prendere il cibo dalla spazzatura. Le radici di questo disturbo sono da ricercare in un temperamento impulsivo a cui qualche volta – continua – si affiancano disturbi depressivi per cui si mangia per provare a riempire sensazioni di vuoto». 

Per i casi più gravi, sono necessari anche diversi mesi di ricovero. Una volta dimessi, i pazienti continuano a essere seguiti dall’unità operativa complessa di Neuropsichiatria infantile territoriale. Non solo, specie in tempo di pandemia, anche le tecnologie vengono impiegate «per accompagnare i ragazzi e le ragazze con casi più gravi – dice Russo – insieme ad alcune psicologhe, stiamo portando avanti degli incontri con un gruppo online. Molti dicono di volere guarire ma, specie per l’anoressia, si tengono stretto il loro disturbo». Ricominciare ad avere un rapporto sano con il cibo, dopo un periodo di piano alimentare assistito, non è tutto. «A lungo rimane la dismorfofobia e la relazione con il disturbo che era diventato un assoluto. La patologia in cui questo aspetto è più evidente è l’anoressia che – lamenta Russo – è stata anche idealizzata: molte ragazze anoressiche ci dicono di volerne uscire ma di essere anche tentate a rimanere in quella condizione perché continuamente si sentono dire dalle coetanee “vorrei essere come te“. La soluzione – conclude – è innanzitutto fare scendere l’anoressia dal trono».

Marta Silvestre

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