E’ stato un braccio di ferro durissimo quello che ieri, a Roma, ha visto sfidarsi l’Eni e i sindacati. Sul tavolo, il futuro delle raffinerie, quella di Gela, ma non solo. Un incontro che si è concluso con una rottura che sembra insanabile. La società, infatti, non ha nessuna intenzione di tornare indietro sui suoi passi: il settore della raffinazione, come vi abbiamo già detto qui, non è più appetibile. Da qui la decisione di dismettere molti impianti, incluso quello siciliano.
A tentare una mediazione il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi e il viceministro Claudio De Vincenti. Mediazione, al momento, fallita. Gli esponenti del Governo Renzi hanno riconvocato le parti per oggi alle 12. Ma le premsse non sono buone. I sindacati, infatti, non accettano il piano proposto proposto dall’Eni, lo giudicano “inaccettabile’ e annunciano la ripresa dello stato di agitazione. ”Nell’incontro, nonostante il tentativo di mediazione del ministro Guidi, si e’ registrata una posizione di rigidita’ dell’azienda rispetto alle richieste di riavviare gli impianti di Gela e di Porto Marghera, cosi’ come previsto dagli accordi precedenti”.
Per Gela in particolare l’Eni avrebbe proposto un nuovo piano, ma alquanto teorico.Secondo Cgil, Cisl e Uil, infatti, si tratta di ipotetici investimenti legati ad autorizzazioni future ed incerte, mentre i 700 milioni di euro, previsti dal precedente accordo, sarebbero stati certi. Un programma bocciato su tutta la linea anche dal Presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, pronto a interrompere (almeno così dice) la trattativa per l’apertura di nuovi pozzi.Un piano che prevederebbe, secondo Crocetta, solo aspetti negativi: una bonifica del territorio di soli 40 ettari sui 340 che attualmente sono interessati, nuovi sfruttamenti del territorio e del suo sottosuolo, con conseguenze ambientali e paesaggistiche, un basso investimento che si rifletterebbe sull’occupazione e, indirettamente sul Pil siciliano.
La situazione è preoccupante e assai delicata- dicono Michele Pagliaro, segretario generale della Cgil Sicilia e Giuseppe DAquila- perché si è registrato un irrigidimento di Eni proprio su Gela. Noi restiamo dellavviso aggiungono- che qualunque piano debba partire dalla conferma dellinvestimento di 700 milioni sulla raffineria, frutto di un accordo che lEni non può unilateralmente disdettare, che va anzi implementato. I due esponenti sindacali affermano che in assenza di unintesa il clima a Gela rischia di arroventarsi ancora di più e le iniziative di lotta sono destinate a moltiplicarsi”.
Proteste, che come abbiamo già detto, potrebbero essere inutili. Lo si deduce non solo dalle anticipazioni del nuovo piano industriale di cui vi abbiamo dato notizia qui (la decisione di abbandonare quasi del tutto la raffinazione) ma anche dalle esplicite parole dell’ad del gruppo, Claudio De Scalzi, pronunciate proprio stamattina, nel corso della presentazione dei risultati del primo semestre:
“Nel 2014 lo scenario di mercato è complessivamente peggiorato rispetto al 2013. In particolare, nel settore della raffinazione abbiamo vissuto a livello europeo un drastico calo dei margini, frutto dell’eccesso di capacità, che ci ha portato ad accelerare il piano di ristrutturazione dei nostri impianti”. Insomma, se qualcuno avesse ancora dubbi, adesso non li avrà più.
Malgrado il contesto negativo Eni ha munque conseguito un flusso di cassa in netta crescita “grazie alle rinegoziazioni dei contratti gas di lungo termine i cui effetti consentono di anticipare il breakeven del settore G&P al 2014”.
E ancora: “Utile netto in crescita del 7,9% per il gruppo Eni a 1,96 miliardi nel I semestre (+7,9%). Utile netto adjusted a 2,06 miliardi nel semestre (+4,8%). Sulla base dell`esame dei risultati del primo semestre 2014 e delle previsioni per l`intero esercizio, la proposta di acconto dividendo al consiglio di amministrazione del 17 settembre 2014 sarà di 0,56 per azione (0,55 nel 2013) da mettere in pagamento il 25 settembre 2014 con stacco cedola il 22 settembre 2014”.
Raffinerie Eni: a Gela monta la protesta. Ma i piani della società sono altri
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